De Mauro, Livatino e il coraggio di non arrendersi 

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Nei giorni in cui ricorre il trentacinquesimo anniversario dell’omicidio di Giancarlo Siani, il cronista del Mattino assassinato dalla camorra il 23 settembre 1985 mentre rincasava a bordo della sua Citroën Méhari, altri due anniversari meritano di essere ricordati. Cinquant’anni fa veniva rapito e assassinato Mauro De Mauro, grande cronista dell’Ora di Palermo che stava collaborando con il regista Franco Rosi alla sceneggiatura del film “Il caso Mattei”, dedicato al dramma del presidente dell’ENI che trascorse in Sicilia i suoi ultimi giorni, prima che il suo aereo precipitasse, la sera del 27 ottobre 1962, in quel di Bascapè (Pavia), in circostanze misteriose ma dalla matrice chiarissima.
De Mauro, infatti, sapeva, indagava, scopriva e comprendeva, prima e meglio di altri, i legami fra criminalità organizzata, servizi collusi e ambienti politici torbidi. Aveva capito, ad esempio, che in Italia esisteva, del dopoguerra, un doppio livello: uno stato nello Stato che dettava legge e stabiliva torti e ragioni, affari e regole, rendendo il nostro dibattito politico asfittico e impedendo quel ricambio al potere che sarebbe stato indispensabile affinché il potere non degenerasse.
De Mauro, evidentemente, non si era limitato a fornire indicazioni: era andato a fondo di una vicenda che non riguardava solo un uomo ma il destino di un asset strategico e delle nostre relazioni economiche e industriali nonché il nostro ruolo geo-politico, diplomatico e di cerniera fra due mondi, quello occidentale e quello arabo, il cui dialogo costruttivo avrebbe potuto scongiurare le tensioni attuali.
De Mauro aveva compreso l’enormità degli interessi che gravavano sull’eliminazione di Mattei e, come sempre, non era disposto a tacere, a dimostrazione che la mafia è stata spesso né più e né meno che il braccio armato di ordini assunti altrove ad opera di personaggi intoccabili.
Rosario Livatino, invece, era un giovane magistrato di appena trentasette anni quando, il 21 settembre 1990, venne assassinato ad Agrigento dalla Stidda, un’organizzazione mafiosa in contrasto con Cosa Nostra ma non per questo meno feroce, devastante e disposta a tutto pur di mantenere il controllo del territorio.
Scrisse in uno dei suoi appunti Livatino: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”.
Ricordarli e portarne avanti le battaglie, seguendone l’esempio, è il modo migliore per provare a costruire una società più giusta.

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