Coronavirus, «mio padre morto da solo nel reparto blindato. Peggiorava e non mangiava: noi tenuti lontano»

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di Virginia Piccolillo*

«L’ultima volta che ho provato a vederlo mi hanno fermato in tre. Ci sono stati contagiati Covid, hanno detto gli infermieri, impedendomi persino di affacciarmi sulla porta e lanciargli un bacio. Niente più ingresso dei parenti, nemmeno per alimentare chi da solo non ce la fa. ‘Cerco di arrangiarmi da solo’, aveva detto mio padre tentando di rassicurare mia madre. Ma era sempre più debole. E quando in una videochiamata ho visto che aveva l’ossigeno e non mi rispondeva, ho capito che non c’era più». Per Tiziana Ciavardini, antropologa, giornalista, il rimpianto di non aver saputo sottrarre suo padre, magari anche «con i carabinieri», a un reparto ospedaliero blindato per il rischio contagio è un macigno. Ma non intende lasciarsi schiacciare. E combatte perché non possa succedere ad altri ciò che è accaduto al cavaliere del lavoro, Arnaldo Ciavardini, guarito dai medici, ma poi deperito e peggiorato senza i suoi cari accanto, in nome dell’emergenza Covid a Roma al Policlinico Casilino,ospedale Covid Free. La direzione sanitaria della struttura, contattata dal Corriere, non ha ancora risposto.

La storia

Per il vitale e lucidissimo 85enne tutto era iniziato a luglio con problemi cardiaci che i medici del Policlinico Casilino, avevano, a detta della figlia risolto «brillantemente», al punto di trasferirlo in una struttura riabilitativa. Lì un’infezione urinaria lo aveva costretto al rientro in Policlinico. Ma le cure lo avevano guarito. E in attesa di dimissioni annunciate aveva ripreso il suo spirito, l’ironia e le forze, grazie all’alimentazione che i familiari venivano a curare personalmente a tutti i pasti. Poi il 14 l’improvviso stop. I divieti di entrare, di vederlo. «Io non so cosa sia successo. A me gli infermieri dicevano che c’era un’emergenza Covid, che otto di loro si erano infettati, ma non so se è vero, non c’era alcuna comunicazione ufficiale, come succede nelle scuole quando c’è un positivo. La struttura non risulta nella lista regionale dei contagi. E non mi risulta che ci sia un’emergenza come a Codogno a febbraio», denuncia Tiziana che avrebbe voluto scegliere se lasciare lì suo padre o portarlo a casa. Per una settimana ha insistito invano per tornare ad alimentare suo padre: «Gli mettevamo omogeneizzati nelle minestre, lo imboccavamo, insistevamo. Le infermiere non avevano tempo per farlo. I medici stessi ce lo chiedevano. Poi?».

La videochat

La cosa che più tortura i familiari è non aver saputo nulla del peggioramento del degente. «Una settimana prima l’infezione era passata, gli facevano la fisioterapia, non stava per morire, ma per essere dimesso. Mia madre aveva fatto la spesa per il suo rientro a casa. Dopo? Perché non ci hanno detto nulla?». Le notizie dal reparto erano sempre rassicuranti. Fino all’ultima videochiamata, di sabato 19. «Mio padre aveva l’ossigeno, ma l’infermiera diceva che era solo per farlo respirare meglio. Lo scuoteva. Lo chiamava. Gli diceva: ‘La vedi tua figlia? Dai saluta’. Ma lui non rispondevaSe ne stava andando. Domenica mattina allora ho provato ad entrare. Niente. A furia di proteste hanno concesso a mio fratello di tornare alle 18 per la cena. Ma mio padre, dimagrito, debolissimo, già non mangiava più, dopo poco è stato trasferito in terapia intensiva. Noi siamo stati chiamati e ci hanno chiesto a chi dovevano consegnare i suoi effetti personali (compresa la busta intonsa di omogeneizzati e spuntini). Perché se non era già morto? Non me lo hanno fatto vedere neanche lì, magari da un vetro. L’ho potuto rivedere solo lunedì mattina in una bara di ferro».

Gli anziani

La storia di Arnaldo, morto secondo il timore di Tiziana «forse per fame e sete», sicuramente solo, segna un punto di svolta. Il destino degli anziani contagiati in piena emergenza, morti in solitudine per evitare il dilagare del virus, rischia di estendersi visto che anche gli ospedali Covid Free chiudono alle visite per evitare il contagio. Lasciando così le persone più fragili prive dell’affetto e dell’aiuto materiale e del controllo dei propri cari. Una condizione che potrebbe spingere molti di loro a fuggire le cure necessarie per evitare quello che Tiziana chiama il «sequestro» di suo padre. «C’era un clima di omertà e di tensione», accusa. «Io capisco tutto. Anche che un anziano non autosufficiente sia di peso al personale. Ma per loro era un numero, per me era mio padre. E se quei tre infermieri mi avessero lasciato, con la mascherina, salutarlo un istante, quell’abbraccio mio padre l’avrebbe portato con sé».

Fonte: Corriere


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