Sudan, accordo di pace tra governo e gruppi ribelli dopo 17 anni di guerra

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Un accordo di pace storico, a quasi diciassette anni dall’inizio del conflitto in Darfur, è stato firmato oggi a Juba, capitale del Sud Sudan e sede del tavolo dei negoziati tra governo sudanese e gruppi ribelli armati.
Il Fronte rivoluzionario del Sudan. coalizione che racchiude le cinque principali sigle della ribellione, ha trovato un’intesa che si è sviluppata nel corso degli ultimi mesi dopo un anno di consultazioni più volte sospese e con il rinvio dell’accordo finale a causa delle violenze riprese nel nord  Darfur.
Oggi le tensioni sembrano essere scemate, quanto meno negli stati del Kordofan Meridionale e del Nilo Azzurro, e le questioni più spinose risolte, dalla sicurezza dei cittadini, alla garanzia di giustizia per le vittime del conflitto, dalla condivisione del potere, alla proprietà dei terreni e al ritorno degli sfollati alle proprie case.
Due i gruppi che non hanno sottoscritto l’accordo, il Movimento di liberazione del Sudan (Slm) guidato da Abdelwahid al-Nour e il Movimento di liberazione del popolo del Sudan -Nord, con a capo Abdelaziz al Hilu.
Entrambe le fazioni non ritengono l’intesa  affidabile, soprattutto per la mancanza di una condivisione di intenti sulla smilitarizzazione  delle forze ribelli e l’integrazione dei loro combattenti nell’esercito nazionale.
Il primo ministro sudanese Abdalla Hamdok e altri esponenti del governo di transizione presenti alla cerimonia della sottoscrizione dell’accordo hanno espresso grande soddisfazione e hanno incontrato il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, che ha avuto un ruolo importante per giungere alla firma della dichiarazione di Juba.
Il premier, alla guida del Paese da un anno, ha dichiarato che questa firma è l’inizio di “una strada verso la pace”, dedicando l’accordo ai bambini nati nei campi di sfollati e ai loro genitori.
Resta l’amaro in bocca per la mancata adesione delle due fazioni, in particolare quella darfuriana, che non hanno ritenuto sufficienti le garanzie del governo, lasciando cadere nel vuoto l’appello di Hamdok a non sprecare l’importante occasione di pace
Per capire il perché del rifiuto dell’intesa possono essere utili le parole di Amane, che a 16 anni è stata stuprata da un gruppo di 5 miliziani e che non è rimasta in silenzio, denunciando gli orrori compiuti in ,Darfur.
“Ben venga questo accordo. Ma sia chiaro, non c’è pace senza giustizia”.
Alcuni responsabili delle 300 mila vittime del conflitto nella regione occidentale del Paese e dei 2 milioni e mezzo di sfollati, su tutti il comandante dei janjaweed (oggi Forze di supporto rapido, che ancora oggi seminano terrore e morte) il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemeti, non solo sono ancora liberi e impuniti ma siedono in senso al Consiglio sovrano, l’organo politico del governo di transizione guidato da Hamdok.


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