Il 14 agosto 2018 a pochi metri dal ponte Morandi di Genova

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Martedi 14 agosto 2018: la giornata inizia alle 5.30 della mattina in viaggio. Provo una strana inquietudine come se volessi rinunciare all’ultimo momento. Vado in pullman diretto a Genova. A causa della pioggia e una sosta forzata all’aeroporto di Orio al Serio per attendere dei passeggeri, l’arrivo subirà un ritardo di circa 15 minuti e questo genera preoccupazione a tutti per il timore di perdere le coincidenze verso altre destinazioni. Con me viaggiano anche molti giovani stranieri diretti verso mete turistiche della Liguria e della Sardegna. Intravedo la città dall’alto e l’orologio posto sopra il posto di guida segna le 11 e 50 (l’orario d’arrivo previsto alla stazione di Genova Piazza Principe), l’autista ci avvisa di aver ricevuto l’ordine di uscire al casello di Genova Bolzaneto, causa un incidente appena accaduto dopo la galleria autostradale che conduce al ponte Morandi. Mi alzo e chiedo cosa stia accadendo notando in lui una agitazione per il continuo squillare del suo telefono di servizio. Un segnale rosso lampeggiante sul monitor segna l’interruzione della viabilità. In quell’istante ho provato la sensazione di paura per un pericolo che si stava avvicinando. L’autista mi confida che è accaduta una tragedia a due chilometri di distanza: “È caduto un ponte e non possiamo più proseguire ” indicandolo a poche centinaia di metri da noi. Mi giro e vedo alla mia sinistra i due tronchi del ponte Morandi crollato e una nuvola di fumo mista a pioggia . Il suono incessante delle sirene dei mezzi di soccorso danno la misura della gravità di cosa è successo. Vedo arrivare decine di ambulanze, autopompe dei vigili del fuoco, elicotteri, camion con le gru , auto della polizia e dei carabinieri che cercano di superare le centinaia di auto fermate sulle vie d’accesso alla città. A bordo del pullman i ragazzi iniziano a piangere spaventati per l’impressionante scena apocalittica che emerge dalla nebbia . Un camion verde è fermo sull’orlo del ponte crollato.

I soccorritori si calano con le corde dall’alto e il suono insistente delle sirene acuisce lo stato di agitazione . Cerco di mantenere la calmare e di contenere la paura dei passeggeri stranieri. Le loro famiglie pochi minuti dopo la tragedia erano già state informate dalle prime immagini trasmesse in tutto il mondo e chiamano i loro figli sui loro telefoni per accertarsi delle loro condizioni. Il pullman viene fermato dalle pattuglie della polizia stradale su una strada secondaria che costeggia il ponte e per le tre ore successive non ci sarà consentito proseguire. Gli elicotteri trasportano le barelle su cui vengono deposti i corpi delle vittime. Dal numero di voli si comprende come siano tante le persone cadute. Centinaia di soccorritori accorrono sul luogo del crollo mentre la pioggia insistente ostacola i soccorsi. I vigili del fuoco si arrampicano sui piloni del ponte dove ci sono i feriti incastrati tra le macerie. L’autista mi confida che da orario il pullman doveva transitare sul ponte Morandi esattamente alle 11.50, e se non fosse stato per il provvidenziale ritardo, ora non saremmo qui. Potevamo cadere o restare bloccati sul ponte o nella galleria che lo precede, dove i soccorsi per liberare le persone sono arrivati dopo molto tempo. Genova appariva una città bombardata e ferita a morte. La paura e il terrore si percepiva sul viso della popolazione. Tutti i trasporti bloccati, la circolazione dei treni interrotta e migliaia di passeggeri costretti a restare nelle stazioni, sulle strade circolavano solo i mezzi di soccorso provenienti anche da altre città del Nord Italia in rinforzo degli uomini stremati dalla fatica per l’enorme diifficoltà di recuperare le salme e i feriti

Solo dopo molto tempo il pullman lentamente verrà scortato da due pattuglie della polizia per consentire la discesa a Genova e qui l’attesa si prolungherà per tutto il giorno in attesa di poter ripartire. Ogni azione era rallentata, l’incredulità tra i genovesi si manifestava con il pianto, la disperazione per non avere notizie di famigliari che tutti i giorni transitavano sul quel ponte. L’imponente macchina dei soccorsi capace di gestire un’emergenza di così vaste proporzioni dimostrava una solidarietà professionale, civile e umana immensa. Tutta Genova era accorsa per aiutare. Tutti erano coscienti che la città non sarebbe stata più la stessa di prima. Una ferita che sarà difficile rimarginare anche se ora il nuovo ponte è stato inaugurato e permetterà di unire. Il dolore resta.

 

 

 


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