Il caso Lucarelli e gli altri, ecco a cosa serve l’Ordine dei Giornalisti

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La vicenda dell’esposto dell’Odg Lombardia per la presunta violazione della Carta di Treviso da parte della giornalista Selvaggia Lucarelli ha aperto un acceso dibattito all’interno della categoria alimentando nuove polemiche e dure prese di posizione. Non mi esprimerò sullo specifico episodio perché, pur essendomi fatto un’idea chiara, nel mio ruolo non posso interferire sull’operato del Collegio di Disciplina territoriale chiamato a esprimersi in seguito alla segnalazione. Se è vero che l’Odg Lombardia ha deferito la Lucarelli come riportato dagli organi di stampa, non è però certo che sia stato aperto un procedimento disciplinare, diritto che attiene esclusivamente ai consigli di disciplina: inoltre, se il Cdt della Lombardia individuasse eventuali capi di incolpazione, l’apertura di un procedimento disciplinare non attesterebbe comunque l’esistenza di una violazione, che è da verificare proprio con la discussione del procedimento.

Dell’esito della vicenda sapremo solo tra molti mesi, ma nel frattempo si è aperta, ancora una volta, una discussione sul ruolo dell’Ordine dei Giornalisti. Si sta diffondendo l’idea che si possa fare giornalismo anche fuori dall’Ordine, quindi al di là delle regole comuni che legano i giornalisti italiani: ne abbiamo avuto prova con la scelta di Vittorio Feltri che, per evitare il confronto con il consiglio di disciplina, ha chiesto la cancellazione dall’Ordine e ne ha fatto cenno anche Selvaggia Lucarelli, annunciando di volersi cancellare perché che non si sente tutelata.

Sempre più spesso ci troviamo a dover rispondere a chi ne contesta il ruolo, a chi ne farebbe a meno, a chi si domanda a cosa serva, a chi ne propone una riforma profonda come unica alternativa l’abolizione.
Contestazioni alle quali posso rispondere ricordando i principi nei quali continuo a credere: l’Ordine è il baluardo della libertà e pluralità della stampa, il soggetto che – attraverso i consigli di disciplina – impone il rispetto delle norme deontologiche a tutti gli iscritti, che garantisce la formazione professionale e la qualità del lavoro giornalistico, punto di riferimento nazionale e locale per tutti i colleghi.

È vero, di sicuro c’è la necessità di un cambiamento profondo e radicale dell’Ordine, per il quale continuerò a battermi, ma non se ne può mettere in discussione la sua funzione incardinata sul principio di tutela della professione giornalistica in quanto strumento per la libertà di stampa a garanzia di una corretta informazione. L’Ordine dovrà adeguarsi al cambiamento. Le norme che regolano la professione si sono stratificate negli anni e rappresentano l’evoluzione dell’attività giornalistica: seguirle e rispettarle non è facile, ma è un impegno che ciascuno si è preso nel giorno in cui ha chiesto e ottenuto l’iscrizione all’albo, un impegno che deve essere garanzia per il lettore, che deve essere in grado di distinguere un giornalista da chiunque altro scriva a titolo personale.


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