Via del Tritone 152, una volta s’affacciava Vasco Rossi. Ora porte chiuse, lavoro svalutato

0 0

di MARCO MOLENDINI

Il caso del Messaggero è estremo. Destinato a fare il giro del mondo. Pagare un articolo 7 euro (in dollari sarebbero meno di 8, in sterline poco più di 6) è come non pagarlo. Non so se è un record mondiale, ma sicuramente è una buona posizione per concorrere al titolo. Ma c’è poco da vantarsi, anzi la decisione contiene una dose di masochismo, è la dichiarazione esplicita che quel lavoro vale poco. Un messaggio devastante: se è l’editore a non dare valore a quanto pubblica, perchè dovrebbe darlo il lettore? Ci possono essere giustificazioni a non finire, bilanci in rosso, tirature decimate, rese che si moltiplicano. Ma il deprezzamento è la strada per la guarigione o una toppa per allungare lo strazio?

È drammaticamente vero: la brutale situazione dei giornali è che sono al collasso. Il virus ha dato un’ultima botta. I 7 euro del Messaggero si accompagnano alla situazione di smobilitazione fisica innescata dal Coronavirus: il palazzo di via del Tritone 152 è chiuso da quattro mesi. Si parla di riapertura per settembre, ma come si sa l’appetito vien mangiando.

MONUMENTO DELLA CITTA’

L’antico Hotel Select è un monumento della città, quando qualche anno fa convinsi Vasco Rossi a venire al giornale, dicendogli che affacciarsi dal balcone era quasi come farlo a San Pietro, accettò subito l’idea e non si pentí: dal balcone «benedì» la folla lanciando cartoline autografate. Un urbi et orbi del rock all’italiana. Quel palazzo ora è sprangato: giornalisti a casa e collegati via web. Riunioni via conference call, menabò riempiti da remoto.

Può sopravvivere un giornale con lo smart working? I giornali sono corpi strani, polmoni che respirano, che vivono di confronto, di idee, di chiacchierate, di riunioni. Il lavoro a distanza è una toppa, probabilmente redditizia, perché azzera i costi, ma aggrava i sintomi, la malattia. Rende il giornale sempre meno vivo, con ogni probabilità allunga lo strazio e accorcia l’agonia. 

INTERVISTE E ARIA FRITTA

L’unica via di salvezza, al contrario, sarebbe l’investimento sulla qualità, la capacità di svincolarsi della routine quotidiana, proporre idee, ragionamenti, soluzioni, esprimere un pensiero forte, rilanciare sulla professionalità. Lo racconta quanto è successo al New York Times che ha puntato tutto sul livello del proprio prodotto e ora ne raccoglie i frutti. Da noi i giornali, con rarissime eccezioni, inseguono la routine, pagine e pagine riempite con la pala, notizie lette e rilette sul web, politica che vive sull’aria fritta, interviste sempre agli stessi che dicono le stesse cose, poche opinioni forti. E taglio dei compensi. E’ inevitabile, si dirà. Se non esiste il compratore il prezzo della merce crolla. Ma se la merce non vale nulla il compratore si allontanerà sempre di più. Una condanna, l’effetto inevitabile di una stampa priva di editori puri e oggetto di interessi diversi: lo scopo non è vendere copie ma favorire i propri affari. E se questo è il principio, il valore degli articoli  diventa inesistente.

Da professionereporter


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21