“A una certa ora di un dato giorno”

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“Avevo trentadue anni quando mi sposai, e l’uomo che mi era accanto non sarebbe rimasto per sempre. Mi amava molto, a modo suo, come poteva. Ma non sapeva cosa significasse, e diceva cose delle quali io non capivo il senso. Spesso suonavano come bellissime, altre mi rabbrividivano. E quando incontri uno così, e in lui riconosci il tuo stesso dolore, allora la cosa diventa difficile”.

Dopo “Il silenzio del sabato”, pubblicato nel 2018, Mariantonia Avati torna in libreria, sempre con La Nave di Teseo, dal 28 maggio, con “A una certa ora di un dato giorno” (192pp, 17 Euro), una storia che indaga senza sconti le contraddizioni dell’animo umano lacerato dal dolore, eppur bisognoso di credere nell’amore.

Emma e Luca sono sposati da 17 anni, hanno un figlio adolescente e una vita apparentemente tranquilla. I loro destini si erano incrociati casualmente durante la ristrutturazione di un appartamento nel centro di Roma: lui aveva un’impresa di costruzioni, lei era arredatrice d’interni.

Entrambi recavano con sé il proprio bagaglio di dolore: Emma, cresciuta con un padre fedifrago e sfuggente – che tuttavia sua madre non aveva mai lasciato – morto in un incidente quando lei aveva appena 16 anni; Luca, cocainomane, segnato dalla perdita del fratello minore ucciso dalla leucemia.

Dopo i primi anni di matrimonio le cose erano cambiate e “l’infelicità arrivò senza preludio”.

Luca smise di dormire, diventando aggressivo, bugiardo e manipolatore. “Avevo imparato ad assoggettarmi alla violenza delle sue parole atroci, irripetibili, luride. Per evitare qualsiasi forma di ribellione mi ricattava”, ma, nonostante l’orrore, il senso di soffocamento, la paura, Emma non riesce a staccarsi. Registra lucidamente i suoi comportamenti, la sua violenza verbale, le sue bugie, la dipendenza dalla cocaina, mai superata. La psicoterapeuta cerca di aiutarla a fare chiarezza, ma lei vorrebbe ancora ‘rimettere le cose a posto’, inseguire un lieto fine – lo stesso che ritrova nelle favole scritte da sua madre – e salvare Luca da se stesso e dai suoi mostri.

“La compassione è un sentimento subdolo, attanaglia lo stomaco, offusca i pensieri, cancella esperienza e maturità, tende ad avvicinare anche ciò che sarebbe più prudente mantenere distante, ma soprattutto distorce la realtà, e quando la si prova i fatti non sembrano più quello che sono, ma si trasformano in quanto vorremmo fossero”.

Una storia di dolore, un rapporto di dipendenza dove Emma e Luca sono, in fondo, al contempo vittime e carnefici di se stessi, in cui ciascuno appare incapace di sottrarsi alla sofferenza di un rapporto che aveva immaginato diverso. Emma si sente tradita rispetto al patto che li aveva uniti, Luca sente di non essere mai stato accettato per quello che era, costretto da sempre a fingersi altro. Fino ad un imprevisto Natale…

Mariantonia Avati con una prosa asciutta ci trascina negli inferi dell’animo umano, nella psiche della protagonista, Emma, ricostruendo i tanti, talvolta atroci episodi della sua storia con Luca e mixandoli con sapienza ai flashback della sua infanzia, minata dalla latitanza paterna. Un romanzo dalla prosa fluida seppur nella sua atroce durezza, che non fa sconti, che non consente la seppur minima distrazione sino al sospirato epilogo.


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