La “contro inchiesta” del Cavaliere Montante

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PRIMI ATTI DI INQUINAMENTO DEL PANORAMA INVESTIGATIVO

Mentre i collaboratori di giustizia rendevano dichiarazioni sul conto di MONTANTE, questi avviava una raccolta di informazioni nei loro confronti, in una sorta di controspionaggio rispetto all’attività investigativa.
Infatti, già il 5 marzo 2010, MONTANTE ordinava ed otteneva l’accesso abusivo al sistema SDI della Polizia di Stato nei riguardi di coloro che – Aldo RIGGI, Pietro RIGGIO e Carmelo BARBIERI – soltanto nel 2015 si scoprirà, per effetto della discovery giornalistica, essere stati i primi dichiaranti ad averlo accusato di sinistre relazioni con appartenenti alla mafia (cfr. nota della squadra mobile di Caltanissetta n. 161 del 19 gennaio 2017, attestante l’esecuzione materiale di tali accessi ad opera di GRACEFFA; sulla riconducibilità di tali accessi alla committenza di MONTANTE, vd. infra).
Ciò può essere spiegato soltanto ammettendo che MONTANTE, in quel periodo, avesse beneficiato di una gravissima fuga di notizie, coperte dal segreto investigativo, da parte di una fonte estremamente qualificata, come emerge dalla precisione chirurgica della notizia pervenutagli.
Infatti, mentre la divulgazione giornalistica del 2015 inseriva erroneamente anche Crocifisso SMORTA tra i collaboratori che avevano reso dichiarazioni nei riguardi dell’imprenditore di Serradifalco, quest’ultimo, nel 2010, aveva ricevuto la notizia in maniera esatta, tanto da escludere il citato SMORTA dal novero dei soggetti “spiati”.
Si tratta, com’è evidente, di circostanze particolarmente inquietanti, che dimostrano l’elevata pervasività del potere esercitato da MONTANTE, capace di infiltrarsi persino all’interno del palazzo di giustizia.

§ 2. L’ingerenza di Montante nelle sommarie informazioni rese dal fratello
Nell’ambito di questi spasmodici tentativi di blindare il proprio sistema di potere, captando le notizie di indagine che lo interessavano e sviluppando i dati che gli pervenivano dagli accessi illegali alle banche dati in uso alle forze di polizia, MONTANTE cercava, altresì, di inquinare l’attività investigativa ingerendosi nelle dichiarazioni che persone informate dei fatti, allo stesso
legate da rapporti di prossimità di varia natura (parentale, professionale, associativa, etc), avrebbero reso agli inquirenti.
Tanto si evince dai dialoghi intercettati e riprodotti nella C.N.R. n. 1092/2017 (da p. 49), che mette in luce, in primo luogo, lo stretto monitoraggio e il condizionamento posto in essere da Antonio Calogero MONTANTE nei riguardi del fratello, Gioacchino, convocato dagli inquirenti per essere sentito sulle alcune vicende estranee all’oggetto dell’odierna trattazione.
Al termine dell’espletamento del previsto atto di P.G. (ibidem), infatti, venivano captate una serie di conversazioni che assumono speciale pregnanza ai fini del thema probandum e che sono riportate, tramite mutuazione dalla citata informativa, nell’ordinanza cautelare (da p. 271), di seguito riprodotta nelle parti meramente ricognitive del contenuto delle menzionate conversazioni ed
intervallate da osservazioni critiche di questo giudice:

Ed invero, in data 15.6.2015, (progr. 2064 delle ore 11.44), il MISTRETTA chiedeva a MONTANTE Gioacchino di richiamarlo su un”utenza fissa – intestata alla Provincia Regionale di Caltanissetta, ove il MISTRETTA ha un incarico – senza aggiungere altro. […] Il tardo pomeriggio dello stesso giorno in cui MONTANTE Gioacchino veniva escusso in Procura, Antonio Calogero MONTANTE chiamava il MISTRETTA (progressivo nr. 3160 delle ore 18.47) e subito gli rappresentava di “averlo cercato”, chiedendogli, poi, dove si trovasse e se ci fossero “novità”. Il MISTRETTA rispondeva in maniera evasiva (“solito tram tram della vita quotidiana”, da intendersi, verosimilmente, come “tran tran”), sicché il MONTANTE tornava a ripetergli, per ben due volte, che lo aveva “cercato” ed a quel punto i due chiudevano la comunicazione, ripromettendosi di “sentirsi”.
[…] Orbene, onde correttamente comprendere… Continua su mafie


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