Virtus insaniae. Joker e Batman nel labirinto affamato di follia: ‘Arkham Asylum’ ed. Play Press

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In attesa di pubblicare l’analisi approfondita del ‘Joker’ di Todd Phillips, Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, proponiamo ai lettori le riflessioni di Giuseppe Condorelli sulla graphic novel “Arkham Asylum, una folle dimora in un folle mondo”, nel cui codice iconografico si possono rintracciare molti punti di contatto con la geniale e lacerata versione di Joker creata da Joaquin Phoenix.

Goditi la vita là fuori…in manicomio.

Joker

In attesa del seguito “Arkham Asylum: A Serious House on Serious Earth”, annunciato da Grant Morrison al San Diego Comic-Con, la più importante convention americana dedicata al fumetto e all’intrattenimento, pubblichiamo la recensione di “Arkham Asylum, una folle dimora in un folle mondo”, ormai un cult.

Se Frank Miller ci aveva restituito il Batman più umanamente tormentato e spiritualmente più vicino al comune patire – nel devastante “Return of the Dark Knigth” – quello del duo Morrison-Mc Kean che si aggira tra l’antica “Arkham Asylum” è un pipistrello estremo, abissale, costantemente in fuga da se stesso, in bilico tra una salvezza che il finale annuncia improbabile o sfregiata, e la perdizione definitiva.

La traduzione in volume unico per i tipi della Play Press di “Arkham Asylum”, sceneggiata da Grant Morrison e magistralmente illustrata da Dave Mc Kean, riempie un vuoto negli affollati scaffali dei collezionisti di fumetto e degli appassionati della letteratura tout-court.

Arkham Asylum – sanatorio, arca, hospice, ricovero per la cura delle malattie mentali e perciò luogo di follia – è la magione che custodisce le schegge impazzite di Gotham City e, nello stesso tempo, i fantasmi che agitano i sonni dell’uomo-pipistrello. La stranezza, la diversità, la melanconia e l’invasamento del mondo sono racchiuse tra le mura dell’antico ricovero fondata dal dottor Arkham, la cui vita nella casa è segnata da continui lutti: della madre prima, della sua stessa famiglia poi.

Eppure, proprio all’interno del luogo che dovrebbe blandire la loro insania mentis, gli abitatori – anarchici, giullari, storpi, megalomani – si riappropriano dell’immunità e dell’intoccabilità che una volta il mondo loro concedeva e sopportava, per farsi demiurghi onnipotenti del luogo. La casa è un organismo affamato di follia. E’ un labirinto sognante ed io mi ci perdo dice Arkham nella prima delle sette, angosciose sequenze – flash-back brucianti – che inframmezzano e separano il suo personale racconto dall’altro da cui prende avvio la storia: la rivolta all’interno dell’istituto e la pressante richiesta da parte dei rivoltosi della presenza di Batman. In questo modo Arkham Asylum funziona come macrotesto: quella della casa è la storia del dottor Arkham, della sua rovina e della sua caduta definitiva, senza redenzione, nella comprensione e nella pratica della follia. “La pazzia – dice – nasce nel sangue; è il mio retaggio, la mia eredità. Il mio destino.”

E contemporaneamente, inseguendo le formule di una occulta geometria del caos (e della ricchezza) della follia, Arkham Asylum è un insieme di microtesti: è la storia dei reclusi e dei loro destini incrociati: ed il loro destino è quello nero e sinistro di Batman. Il procuratore Harvey Due facce Dent, il Cappellaio Matto, Maschera nera, Croc, Dottor Destiny, Maxie Zeus, Faccia di Creta, Professor Milo. Pazzi criminali o geniali poeti? Filosofi che hanno compreso o discepoli della violenza ingiustificata? E poi lui, l’ alter ego, il pagliaccio, il giocoliere, l’allegrone assoluto ed irriverente: Joker. E quale migliore anfitrione, guida e caronte di questa discesa a spirale se non il Joker in persona, l’arcinemico di Batman, demone lucidissimo dell’impossibilità della normalità (pensate al Comico di Watchman!) e protagonista vero della storia. In effetti non siamo nemmeno sicuri – dice una terapeuta del manicomio – di poterlo definire pazzo.

Il Joker infatti si ricrea continuamente in quel teatro dell’ assurdo che per lui è la realtà. Ed è pronto a sfidare Batman sul lettino dello pschiatra. L’uomo-pipistrello aveva anticipato significativamente la difficoltà dello scontro: ho paura – aveva pensato entrando in Arkham – che quando varcherò la porta sarà come essere di nuovo a casa. E infatti Arkham è uno specchio: – lo avvertirà il Cappellaio Matto – noi siamo te. E l’uomo-pipistrello dall’appparente sicumera mentale, crollerà subito, alle prime associazioni verbali che come artigli scavano fino all’evento-trauma della sua vita: l’assassinio dei genitori. Così, inorridito, fuggirà, appesantito dal suo stesso passato, attraverso la casa, visitando con la mente sconvolta, col corpo dolente e ferito, tutti i suoi nemici: ovvero tutte le sue paure. Fino al gnosei seauton (conosci te stesso) socratico che lo salva, redimendolo però con la certezza del dubbio sulla propria esistenza. Nel corso di questa fuga diventa egli stesso simbolo: è Parsifal che affronta l’irragionevolezza; è Attide mutilato che gronda sangue; è Cristo sacrificato; è il forte e bellicoso Odino che presiede alle stragi: quella di cui si renderà protagonista tentando di distruggere la casa. Una sconvolgente bildung conclusiva fino all’ennesimo colpo di scena: è il Pipistrello – confesserà il diario del dottor Arkham – ad aver nutrito le paure della madre e riempito la casa della fame di follia. Alla fine sarà proprio un pazzo, Harvey Due Facce Dent, con una scelta finalmente razionale, a sancire l’uscita incolume di Batman dalla realtà. In questo intreccio grottesco e i disegni di Mc Kean sono la scrittura di Morrison: un codice iconografico straordinario e vertiginoso. L’artista inglese è un Bosch contemporaneo in cui astrattismo avanguardista, reminiscenze classiche e moderne si fondono naturalmente, per accumulazioni, per sovrapposizioni inaspettate, scolpendo personaggi ora travagliati e gotici (Batman accartociato nella sua lugubre, gotica, divisa e arroccato dentro), ora sfocati ed imprendibili: è il caso, per esempio, della materializzazione visiva del delirante Joker, allucinato ed allucinante parodia della follia del tutto. Nello spazio apparentemente claustrofobico della vignetta – hanno detto – è inscritto un universo semiotico di stupefacente complessità tanto che Arkham Asylum potrebbe essere addirittura considerato un ipertesto. E questo viaggio nella follia (alla fine, di chi?) non è mai lineare, appare invece alogico, scompaginato, incompiuto. All’altezza di un sogno o di un incubo terrificante che non ci abbandona mai.

Grant Morrison, Dave Mc Kean, Arkham Asylum, Edizioni Play Press, Roma, 1997.


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