Un messaggio per abbattere i muri

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di Maria Elena Saporito

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Maria Elena Saporito, volontaria di Trame Festival

“Voi che vivete sicuri”: Se questo è un uomo di Primo Levi ha nel senso di sicurezza il proprio punto di partenza. E prosegue “…nelle vostre tiepide case”: la casa come nido degli affetti, del calore umano e materiale, come luogo di protezione e schermo dal mondo esterno.
Oggi più che mai questo messaggio è attuale e vivo. Il diritto a trovare in una casa il posto in cui tornare, il diritto a mettere le proprie radici anche a costo di sradicarsi da una terra che spesso offre nulla se non miseria e degrado. Il diritto che si trasforma, per molti, nel dovere di rischiare la propria vita. Il diritto a sentirsi sicuri, dentro e fuori dalle proprie case, che non può e non deve diventare un lusso di pochi.
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra, c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo.”, scriveva Pavese in La Luna e i falò.
Non è facile starci tranquillo… Quante volte uomini, donne, giovani e anziani del nostro amaro e amato Sud avranno pensato a quanto sia difficile stare tranquilli in una terra straziata dal fenomeno mafioso? Quante volte la criminalità organizzata gli sarà passata accanto serpeggiando in uno scambio di favori, nella costruzione abusiva di un palazzo, in un appalto comprato. E quante altre volte ancora gli sarà passata accanto urlando a gran voce per far sentire la propria presenza, per soggiogarli nella paura, lasciando dietro di sé una scia di sangue e sgomento.
Uomini, donne, giovani e anziani con vite, ambizioni, sogni e speranze che hanno dovuto imparare a fare i conti con una terra che tanto dà ma tanto toglie. Uomini e donne, giovani e anziani che hanno dovuto imparare che la distinzione tra buoni e cattivi non è immediatamente così netta.
Nel nostro amato e amaro Sud per decenni buoni e cattivi si sono mischiati, scambiati di posto, a volte confusi. Complice l’abbandono dello Stato, l’incuria di una classe politica che spesso ha dimenticato di essere tra la gente e per la gente, la differenza tra ciò che fosse bene o male non è sempre stata chiara. E in questo grigio la criminalità organizzata ha saputo mimetizzarsi, in questa melma sguazzare, addirittura sostituirsi allo Stato. Di questo vuoto i mafiosi hanno saputo approfittare per promettere, risolvere problemi, sistemare i parenti dei parenti, accontentare questo e quello e arricchirsi, arricchirsi a dismisura, poco importa dei mezzi. Da quelli più striscianti e subdoli – il racket e l’usura, distruggendo intere famiglie, fisicamente e moralmente – a quelli più violenti – bombe, rapimenti, regolamenti di conti che hanno ucciso centinaia di innocenti –, si è creato uno stato nello Stato, con le proprie leggi e la propria giustizia senza scrupoli. Uno stato nello Stato che ha utilizzato la disperazione di un Sud dimenticato a proprio vantaggio, e da questa come una sorta di partito politico ha tratto consensi.
Ma se anche in politica è contemplata la voce del dissenso, da questo grigio sono emerse reazioni forti: le reazioni di chi dall’oppressione non vuole essere strangolato né dalla paura piegato. Le reazioni di chi sa che non si è liberi e non si è sicuri se il legislatore è anche l’oppressore.
Questa voce continua a lottare per farsi sentire, sempre di più e sempre più forte. E anche quest’anno Trame Festival dei libri sulle mafie ha deciso di accoglierla e di farle da megafono. Anche quest’anno decine di maglie colorate spezzeranno la coltre grigia della quale le mafie approfittano per insinuarsi dappertutto.
Anche quest’anno, nella terza settimana di giugno, Lamezia Terme sarà la cassa di risonanza del rifiuto a qualsiasi forma del fenomeno mafioso e sarà la casa di tutti coloro che desiderino iniziare insieme la rivoluzione culturale che questo Sud amaro e amato merita.
Costruendo ponti e abbattendo muri, diffondendo conoscenza e consapevolezza identitaria. Di un’identità che non vuol dire chiusura e isolamento, ma comprensione di sé e accoglienza dell’altro. Di un’identità che considera l’alterità come valore aggiunto: un ritorno ad un umanesimo nel suo senso più ampio di attenzione e centralità dell’Uomo, essere umano meritevole di diritti e destinatario di doveri. Essere umano appassionato e interessato al mondo, motore del cambiamento tanto essenziale a questo nostro Sud.
Perché la rivoluzione parte dalla cura: tenere alla propria terra tanto da combattere per non vederla abbruttita, mortificata da un fenomeno che esiste ma non ci identifica, che va portato alla luce e non insabbiato. Perché parlare di mafia non è non rendere giustizia ai luoghi, sminuirli, fargli una cattiva pubblicità. Perché parlarne è non voltare la testa dall’altro lato. Perché parlarne implica conoscere, e la conoscenza implica la scelta di schierarsi. Perché, disse Giuseppe Fava, Bisogna ogni giorno lottare per migliorare la nostra società. E per fare questo bisogna che voi impariate a stare dentro la politica, facendo politica nel senso antico del termine, nel senso greco del termine.”. Perché, continua “tutto quello che vi capiterà nella vita dipenderà da come voi sarete capaci di stare con la mafia o di lottare contro la mafia.”

Da mafie


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