Il sistema della precarietà

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Un tempo essere precari era un problema, come lo è ora, ma a differenza di quello che succede adesso, era anche una condizione temporanea, a volte si protraeva per tempi lunghi, talvolta anche molto lunghi ma conservava per sempre quell’aspetto di eccezionalità che rendeva la condizione di precarietà un periodo a termine, un modo per fare la gavetta, un sacrificio necessario per raggiungere l’agognata sicurezza. Oggi, e purtroppo da tanti anni, essere precari è diventato un sistema di vita. La precarietà non è più uno status temporaneo associato indissolubilmente alla nostra posizione lavorativa. Essere precari oggi è sinonimo di vivere. Come le recinzioni di plastica arancione che delimitano luoghi di ogni tipo, grandezza e posizione, nei centri storici e le periferie –  ma non mi stupirei di cominciare a trovarli anche in campagna –  dei nostri piccoli o grandi centri urbani. Recinzioni temporanee di sicurezza. Per delimitare un’area a rischio. In attesa che venga messa in sicurezza. Un tempo le recinzioni arancioni servivano proprio a questo, come la precarietà, per difendersi, magari un po’ goffamente, da eventi anche peggiori. Adesso sono, i nastri arancioni e la precarietà, il nostro modo per sopravvivere ad un presente molto più incerto di prima, addirittura indecifrabile e sovente senza prospettive di miglioramento.
Di giornalismo e precarietà ci siamo occupati innumerevoli volte su queste colonne. Ricordo diversi anni fa il subbuglio mediatico intenso che provocò un nostro pezzo che si intitolava : giornalisti digitali vendesi per 50 centesimi. Quasi 10 anni fa, e non era certamente nemmeno la nostra prima volta, provavamo ad esplorare la precarietà nel giornalismo, in particolare in quello digitale, che allora era ancora qualcosa di diverso dal giornalismo tradizionale, o almeno ci sembrava tale. Quante inesattezze e ingenuità contiene quel pezzo a  rileggerlo ora:
Lsdi ha cominciato a perlustrare la giungla della ‘compravendita di servizi editoriali’ per il web in Italia scoprendo prima di tutto che la parola ‘giornalista’ è stata ormai sostituita da quella di ‘articolista’ – Questo  primo sguardo fra le pieghe dell’ industria della produzione di contenuti (a parte l’enclave delle redazioni delle testate tradizionali) dimostra chiaramente che essa si basa su un massiccio sfruttamento del lavoro di centinaia o forse migliaia di… Continua su lsdi

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