Cannes 2019. “Dolore e gloria” di Pedro Almodovar, anche l’artista più grande è un uomo

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Pedro Almodovar ha spesso attinto alla propria vita per raccontare storie, per cui è difficile dire quanto di  “Dolore e Gloria” – forse il suo film migliore che si mormora possa vincere a Cannes 72 un premio importante – sia personale, quanto invenzione. Certo appartiene ad Almodovar la creatività cinematografica e la riconoscenza verso il teatro, linfa  vitale e chiarificatrice,  capace di parlare ad amori lontani. In  “Dolore e gloria”  Almodovar narra di Salvador Mallo, regista di fama in crisi creativa, provato da malesseri fisici  e non più giovane. Il duro mestiere di vivere gli fa guardare con distacco i successi  e gli riporta alla memoria i giorni dell’infanzia che, anche se fatti di povertà estrema, ora gli sembrano poetici. Salvador Mallo sta male e insieme a un amico, cercato in occasione del restauro di un suo vecchio film, un giorno annega la sofferenza sniffando eroina. Ne diviene dipendente, così come lo è stato dalla madre …

Il regista narra con il giusto distacco  un impegno artistico sicuramente suo. Ne parla come qualcosa che possa anche non bastare per dare senso ai giorni, pur se nel film la depressione nuota in vivaci colori,  pregna di commozione, misteriosamente soffusa di  affascinante caducità. Un bravissimo Antonio Banderas da vita al personaggio – parimenti il suo migliore – dietro il quale molti vi leggono lo stesso Pedro che, con coraggiosa sincerità, mette a nudo fragilità che suonano universali e toccano nel profondo.  Brava Penelope Cruz nel ruolo della madre che ci lega visceralmente, anche quando non c’è. “Gloria” dunque che non risparmia il “dolore”, perché alla fine anche l’artista più grande è un uomo. E qui sta tutta la statura di Almodovar : l’aver saputo parlare dei limiti del talento, della malattia e della morte,  sua e di persone care, con naturalezza, come parte dell’esistenza, con accettazione pervasa di tenerezza e nostalgia, sentimenti  che omaggiano la vita.


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