Il bidone. Non c’è altra parola per il Def. L’Italia non cresce

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Da Cgil, Cisl, Uil fino a Confindustria opposizione alla politica del governo che teme la conferenza stampa. Gianni: nascondono la polvere sotto il tappeto

Di Alessandro Cardulli

Chissà perché più il triumvirato, Salvini, Di Maio, Conte procede in un cammino quanto mai periglioso dovendo tener fede alle promesse  impossibili che ogni giorno fanno agli elettori, promesse diffuse in particolare via televisione e  carta stampata dove i giornalisti amici si danno da fare, più mi torna alle mente uno dei film del grande Fellini: “Il bidone” per la precisione. Protagonisti tre truffatori di modesto calibro. Augusto è il capofila, lo seguono nelle modeste imprese Roberto e Picasso, i suoi soci. In effetti sono dei poveracci, dei frustrati. Quando la moglie di Picasso scopre l’attività del marito lo lascia e i tre si dividono. Il film uscirà il 7 ottobre del 1955. Broderick Crawford è Augusto Rocca. Giulietta Masina è Iris la moglie di Picasso impersonato da Richard Basehart, Franco Fabrizi è Roberto. Con loro fra gli altri Lorella De Luca.

In politica anche la truffa è un’arte. Torna alla mente il bel film di Fellini

I tre, qualunque cosa facciano, non gli va bene Questa volta in particolare sono stati capaci di compattare un insieme di forze sociali, in testa Cgil, Cisl, Uil, fino alla Confindustria che con i sindacati ha stretto un patto, forze che si schierano alla opposizione della politica dei gialloverdi. Non a caso Landini, il segretario generale della Cgil, ha parlato di “sciopero generale”, come diciamo in altro articolo del nostro giornale. I tre italioti al governo ci mettono tutto l’impegno possibile. Anche la truffa è, se così si può dire, un’arte. Chissà perché quando ho chiesto a Alfonso Gianni, economista, collaboratore del nostro giornale, un commento sulla squallida vicenda che si chiama Def, documento di economia e finanza, vissuta ieri dal governo gialloverde, la sue risposte sull’operato di Conte, il premier, i vicepremier  Salvini e Di Maio, mi hanno richiamato il film “Il bidone”. Dice Alfonso Gianni che “qualsiasi cosa facciano vanno contro qualcosa. Una volta è l’Europa, una volta il contratto di governo che i due si giocano pressoché ogni giorno, l’uno cerca di fare le scarpe all’altro, ambedue cercando di nascondere la polvere sotto il tappeto”.  Quello che è avvenuto in Consiglio dei ministri ha tutte le sembianze di  “un bidone”. È nella natura del “bidone”, di chi lo pratica, la convinzione che il truffato sia incapace di distinguere la verità dalla finzione, dal trucco, dall’illusione. Non a caso i truffati dai “bidonisti” di Fellini sono quasi tutti contadini, sottoproletari, poveretti. I tre bidonisti dalla vita attendono cose diverse. L’uno ha velleità artistiche, ammira le tele di Corot, De Pisis un altro ha doti canore e aspira a diventare il Johnny Ray italiano che allora andava per la maggiore; Augusto ha una particolare abilità nel travestimento, cardinalizio in particolare, che dà autorevolezza alle sue truffe. Così come ai “bidonisti” di Fellini, questa volta è andata male anche a Conte, Salvini e Di Maio. Avevano mandato il ministro Tria in avanscoperta a confrontarsi con i “truffati” dalle banche. Loro volevano il rimborso a scatola chiusa. Il ministro conoscendo i meccanismi che regolano i rapporti fra clienti, investitori e banche, si muoveva con prudenza, seguendo le leggi e le normative previste dalla Ue. Riusciva a raggiungere un accordo con 17 delle 19 associazioni che rappresentano i “danneggiati”, preferibile alla parola “truffati” perché chi investe in banca qualche rischio lo corre sempre. Si impegnava a definire per iscritto il testo dell’accordo e ad inserirlo nella delibera che il Consiglio dei ministri avrebbe approvato. Così parte il “bidone” perché non risulta che il Cdm a Palazzo Chigi, durato qualche minuto meno di trenta, abbia verbalizzato.

Tutto  già  deciso prima della riunione del Consiglio dei ministri

In realtà di verbalizzato pare vi sia ben poco. Addirittura pare che il Di Maio, il nemico-per forza amico di Salvini, non abbia neppure partecipato all’intrattenimento durato, ripetiamo, mezzora. Perché pare sia ormai una abitudine che lo scazzo, scusate il termine ma ci sembra il più idoneo, sia stato consumato prima del Cdm. Se la sono vista i due con Conte e con il ministro Tria, il cosiddetto vaso di coccio fra due vasi di ferro e qualche altro ministro o sottosegretario, il leghista in particolare che sta a Palazzo Chigi, una sorta di tutore del premier.  Quello di cui i media sono venuti a conoscenza, usando le “loro” fonti è ben poco. Perché ben poco c’è da dire e fare.  Questa volta il trio di prima fila, Conte, Salvini, Di Maio, non si offenda il leader della Lega, se lo inseriamo al secondo posto, cui viene aggiunto Tria, in modo che Crozza abbia materiale di primo piano, questa volta hanno rinunciato alla conferenza stampa, evitando così domande imbarazzanti. Del resto è noto che questi gialloverdi al governo non amano l’informazione, quella vera. Non amano le domande. Vanno avanti a forza di tweet, usando “giornalisti” addetti a diffondere non le notizie sulla attività del governo, ma  propaganda di bassa lega. Nell’occasione una offesa maggiore ai cittadini, al loro diritto ad essere informati. Il premier e i due vice, con Tria a fare da terzo incomodo, proprio poche ore prima della riunione del Consiglio dei ministri erano stati informati dal Fondo monetario internazionale. A chiare lettere aveva annunciato che per l’Italia non c’era crescita, maglia nera dell’Europa. Lo 0,2% per il 2019, zero virgola per i prossimi tre anni. Tria non poteva ignorare. E non poteva ignorare che senza crescita sarebbe stato impossibile far partire la flat tax a meno che non si prevedesse l’aumento dell’Iva. E qui scattava il Salvini. Mai, questo è il punto fondamentale del contratto di governo. Facciamo due scaglioni per le tasse, geniale trovata di Di Maio. Ma si racconta che Salvini si inalbera. Ma come, se è piatta è piatta, non se ne possono fare due. Addirittura Tria, si dice, avrebbe aggirato l’ostacolo proponendo tre  aliquote. Il capo Lega sarebbe saltato su. Risultato: nel Def si fa a meno di inserire i numeri che riguardano, appunto, le aliquote.

Il def, documento di indirizzo, ora non si sa dove stia di casa

Già, perché il Def, appunto, è un documento di indirizzo. In realtà non si sa addirittura dove stia di casa. Il bidone appunto. Ma questa volta,  il gioco è talmente scoperto, il crollo del nostro Paese, lo scivolamento verso il baratro non sono lontani. Come abbiamo detto all’inizio, questa volta praticamente tutte le forze sociali oltre a quelle politiche delle opposizioni si preparano a dar battaglia alle prossime elezioni per respingere l’attacco  che viene da gruppi eversivi, puntando  al rinnovamento, ad una nuova, più democratica politica che ponga al centro una l’uguaglianza, il lavoro, l’ambiente, una politica dell’accoglienza a fronte di una migrazione che non può essere fermata.  Nel frattempo Salvini è convinto di essere un grande leader europeo capace di sconvolgere gli equilibri politici europei portando al potere le peggiori forze di destra, reazionarie, razziste, fasciste anche. Di  Maio è intento a parare il colpo spostando sempre  più a destra i pentastellati, tentando di passare ‘a nuttata, come dicono al suo paese. Dice Gentiloni, l’ex premier, che conosce bene l’ Europa, la Commissione Ue, le forze politiche che si muovono nelle scenario del vecchio continente: “Non so se il governo terrà, ma l’economia non sta tenendo. La fotografia è catastrofica. Sono molto preoccupato, perché abbiamo crescita zero, più debito, più deficit”.

Da jobsnews


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