Lettera aperta dalle carceri turche. Mustafa Ünal, in cella da 27 mesi: Condannato a vivere in un pozzo cieco ma non avete imprigionato il mio pensiero

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Mustafa Ünal è un giornalista turco. Ha compiuto da poco 51 anni, gli ultimi due trascorsi in carcere.
La sua colpa, essere un veterano della stampa libera turca ed ex caporedattore dell’ufficio di Ankara del quotidiano Zaman.
Ünal è stato condannato lo scorso luglio a 10 anni e sei mesi per terrorismo semplicemente per aver condiviso un versetto coranico sul suo account Twitter. “Dio impone giustizia (e giudizio corretto in tutte le questioni).  Buon Venerdì” aveva scritto il giorno dello sventato colpo di Stato del 15 luglio del 2016.

Ieri il sito dell’osservatorio sulla libertà di informazione in Turchia, P24, ha pubblicato una sua lettera aperta dal penitenziario di Silivri, dove  sono detenuti la maggior parte dei  170 giornalisti arrestati dal fallito golpe a oggi.

”Non c’è alcuna motivazione legale che giustifichi il proseguimento della mia prigionia” scrive Ünal, arrestato pochi giorni dopo il tentativo di push con altri 18 colleghi di Zaman, il giornale più venduto nel Paese prima che fosse chiuso nel 2016 e di cui era editore Fethullah Gulen, imam in auto esilio negli Stati Uniti ritenuto ideatore del piano per deporre il presidente Recep Tayyip Erdogan.

“Sono forti perché hanno in mano il potere nel presente.  Ma io avrò ragione nel futuro perché sono innocente e oppresso. La rettitudine, la legge, la giustizia e la coscienza sono dalla mia parte ” scrive ancora l’ex caporedattore di Zaman che non ha esitato a sfidare il regime che lo ha incarcerato affermando che  “il giornalismo non può essere considerato un crimine in un paese amministrato dallo ‘stato di diritto’. Idee e pensieri non possono essere perseguiti”.

Ünal nella lettera diretta alle più alte istituzioni del suo Paese ricorda che la condanna emessa nei confronti della Turchia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il ricorso di Şahin Alpay, altro giornalista di Zaman in prigione per quasi due anni e scarcerato dopo il giudizio della Cedu che ne ha chiesto la liberazione, è stata una decisione ‘pilota’ valida anche nel suo caso.
Alla luce di questa decisione e di quella della Corte costituzionale turca sull’ingiusta detenzione dell’economista e editorialista Mehmet Altan, Mustafa in carcere da 27 mesi ribadisce che ogni  giorno di prigione in più è una violazione dei suoi diritti.

”Come l’ossigeno per le cose viventi, la giustizia non è lo stesso per gli Stati?” chiede il il giornalista “Nel nostro pianeta, l’ossigeno – giustizia, sta per esaurirsi. I campanelli di allarme che suonano per lo Stato di diritto non possono essere ignorati. La mia detenzione sta bloccando la trachea dello Stato che sta soffocando” ribadisce difendendosi strenuamente e rivendicando con forza di essere un cronista libero.  Un ´testimone ‘ della storia.

“Non sono colpevole di alcun crimine. Sono vittima di una congiuntura. Sono un prigioniero. Un prigioniero che è stato abbandonato, condannato a vivere in fondo a un pozzo cieco e tra quattro mura” il suo struggente sfogo affidato a P24.

Ma Mustafa resta forte e combattivo e, come lui stesso afferma con coraggio, possono aver ammanettato le sue mani ‘armate’ solo di penna ma non ‘arrestato’ la sua capacità di pensiero e di difesa della libertà di informazione.

Sebbene le condizioni in prigione siano terribili Ünal non si è mai lasciato andare.

È fiducioso, nonostante tutto, perché sa di essere innocente.

“Solo il mio corpo è prigioniero. La mia mente è libera e sono in vena di una grande pazienza che mi è stata donata da Dio. Sono pienamente sicuro che capitalizzerò i frutti di questa pazienza” è la sua convinzione.

Nella situazione di Mustafa ci sono tantissimi altri colleghi in Turchia, 157esimo tra i 180 paesi nell’indice mondiale sulla libertà di stampa del 2018 pubblicato da Reporters Without Borders.

Le cifre più recenti documentate dalle organizzazione che si occupano di difesa e di tutela degli operatori dell’informazione rilevano che negli ultimi due anni sono stati chiusi  circa 200 media, tra cui agenzie di stampa e giornali curdi. 237 giornalisti e operatori dei media erano in carcere al 7 ottobre 2018, la maggior parte in detenzione preventiva. Di quelli in prigione 169 (arrestati dopo il fallito golpe) sono in attesa di giudizio mentre 68 giornalisti sono stati già condannati e stanno scontando la loro pena.
Altri 148 colleghi turchi hanno pendenti mandati di cattura e sono stati costretti a fuggire e a vivere in esilio.
La Turchia è senza dubbio il più grande carcere per giornalisti del mondo, come ricorda in ogni suo report Amnesty International.


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