Chi si ricorda del 3 ottobre?

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Chi si ricorda del 3 ottobre 2013 oggi che la solidarietà è diventata reato? Chi si ricorda di quell’odore di morte sul molo Favaloro, che le spazzole cercavano di grattare via? Chi ricorda i sette giorni trascorsi a recuperare tutti i 368 corpi dal fondo del mare? Chi ricorda quella madre che ha partorito proprio mentre il barcone si capovolgeva?
Chi ricorda i funerali senza vittime, ma con i rappresentanti del governo eritreo, la dittatura da cui fuggivano? Chi ricorda che la costituzione è antifascista e antirazzista in questo giorno che richiama la necessità della memoria?
Sono passati cinque anni esatti da quel naufragio che ha costretto il mondo a smettere di parlare di numeri, che ha mostrato tutti i corpi per la prima e forse unica volta.
La forza straordinaria di quell’evento è stata quella di mostrare la forma della morte che fino allora si conosceva solo per sentito dire, dalle testimonianze dei sopravvissuti, dai racconti di pescatori.
All’alba di cinque anni fa a mezzo miglio dalla costa di Lampedusa il mare era pieno di corpi. I vivi che sbracciavano e chiedevano aiuto. Le braccia coperte di benzina scivolavano dalla presa. La disperazione dei pescatori.
Il 3 ottobre del 2013 tutto il mondo guardava quell’isola al centro del mediterraneo.
Quell’evento devastante ha cambiato la percezione dei naufragi, che già contavano per difetto 20 mila morti, statistiche fatte su altre statistiche. Ma stavolta i numeri avevano un volto, un nome, espressione. Per la prima volta i morti si sono mostrati, ci hanno costretto a guardarli.
Le bare per contenerli tutti sono arrivate dal continente e sono ripartite su una nave militare accompagnate dalle urla dei parenti.
Li hanno seppelliti in fretta in giro per la Sicilia. Alcuni tra i parenti, ancora oggi non sanno dove sono sepolti i loro cari.
Cinque anni fa.
Subito prima, il 30 settembre, erano morti in 13 durante uno “sbarco fantasma”, che oggi chiamano un fenomeno nuovo. Barche che raggiungono da sole la terraferma. Quel giorno da bordo si illusero che il mare fosse basso, si tuffarono e annegarono a pochi metri dalla riva. Non sapevano nuotare.
A Sampieri era successo questo solo tre giorni prima del 3 ottobre.
Poi, l’11 ottobre in mezzo al mediterraneo naufragava un’altra barca dopo aver ripetutamente chiesto soccorso. Non è intervenuta malta, non è intervenuta la marina italiana. I morti sono stati 268, sessanta bambini. Due ufficiali italiani sono ancora sotto processo.
Il processo per omissione di soccorso è ancora aperto anche per il naufragio del 3 ottobre. Imputato l’equipaggio di un peschereccio di Mazara del Vallo. Avrebbero avvicinato il barcone carico di persone prima del naufragio, ma non sarebbero intervenuti.
I superstiti ricordano bene quelle luci prima che lo scafista desse fuoco alla maglietta per attirare l’attenzione delle barche che si avvicinavano senza fermarsi, senza aiutare. Quel fuoco acceso per farsi vedere ha poi spaventato tutti a bordo ed ha provocato il ribaltamento del barcone.
Ma secondo alcuni superstiti, quella notte ad avvicinarsi erano state due navi. Una, raccontano a verbale, aveva “luci istituzionali”. Ma quella seconda barca che forse era una motovedetta, nel processo in corso non è mai entrata.
Chi si ricorda del 3 ottobre e delle parole che erano state pronunciate subito dopo? Chi ricorda quel “mai più” davanti alle bare in fila nell’hangar dell’aeroporto?
In quelle ore disperate in cui le braccia non bastavano per salvare tutta la gente in mare, non si aveva tempo di riflettere. Giusi Nicolini chiedeva che il 3 ottobre diventasse una giornata di riflessione e commemorazione. Scoprivamo l’Eritrea, la disperazione di migliaia di ragazzi costretti a fuggire per evitare di diventare schiavi e le torture a cui venivano sottoposti se riportati indietro. Torture dai nomi italiani che ci ricordano di quando eravamo “potenza coloniale”.
È seguito un periodo intenso con la più grande operazione di soccorso in mare mai realizzata. Si chiamava Mare Nostrum. È durato un anno, poi il vento è cambiato e il soccorso in mare è diventato un crimine.
Salvare vite è impedito alle navi delle organizzazioni non governative, ai mercantili, alle navi del dispositivo Frontex, alle motovedette della guardia costiera. I porti italiani sono chiusi. Il diritto d’asilo è ristretto per decreto. Il sindaco di Riace, esempio di buona accoglienza che ci invidia l’Europa, viene arrestato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Accogliere, come salvare vite, è diventato un reato.
Oggi, 5 anni dopo il 3 ottobre del 2013, nel Mediterraneo si muore ancora, anzi si muore di più, ma lo si sa solo se qualcuno riesce a sopravvivere. Esattamente come accadeva prima del naufragio di Lampedusa.
Chi si ricorda del 3 ottobre 2013?


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