Verso Assisi, per opporci alla propaganda dell’odio e ai nuovi fascismi

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Credo che pochi di noi un anno fa immaginassero in Italia una situazione come quella che oggi stiamo vivendo. Avevamo analizzato e compreso pienamente i danni che stavano provocando le fake news soprattutto dei social e la necessità di ridare vigore alle forme di comunicazione professionali e garantite, per tutelare la verità. Non pensavamo che lo scenario diventasse velocemente così grave, non pensavamo che in un paese come il nostro sarebbe di fatto sparita l’opinione pubblica, inghiottita da una permanente campagna elettorale fatta di parole di odio e aggressione quotidiana agli avversari, oltre che di promesse non mantenibili al limite della buffoneria. Non pensavamo che quel “rancore” di cui aveva parlato ormai due anni fa il Censis – e che molti aspetti della politica di quei governi purtroppo giustificava – diventasse, appunto, linguaggio di odio e di continue falsità, alimentato minuto per minuto da una vera multitudine di manipolatori digitali, purtroppo anche professionisti capaci di manomettere algoritmi, rubare dati e costruire campagne a livello internazionale la cui pericolosità forse non ci è ancora chiara fino in fondo.

Di fronte a tutto questo, parlare di carte di diritti e doveri, deontologia, professionalità, correttezza, e farlo ad Assisi, appare forse anacronistico, romantico, antico e surreale. Sta a noi fare in modo che non lo sia. E non lo sarà.

Perché ad Assisi troveremo insieme mille progetti per tornare noi, le associazioni, i volenterosi, i piccoli organizzati, a parlare e ad ascoltare, perché tanto non cambi una società se non cambi la gente, le nostre teste. Senza alibi, senza scorciatoie. Noi dobbiamo riportare i nostri temi al centro, noi dobbiamo spiegare che il giovanotto nero davanti al supermercato che ti aiuta a portare i sacchetti non sta rubando il lavoro a nessuno, e fra qualche mese curerà meglio di tanti altri un nostro anziano di famiglia.

Certo, se gli italiani in buona maggioranza considerano eroe un bullo semianalfabeta, lo votano oppure gli sono complici, ai cittadini di buona volontà non rimane che la fatica costante, paziente, quotidiana di fare e di dire qualcosa, ognuno nel suo, che riporti a princìpi migliori, a una cultura più gentile e a una società più rispettosa. Soprattutto rispettosa degli ultimi e dei fragili (gli eritrei della Diciotti sono una sintesi inimitabile del concetto), della Costituzione antifascista e delle leggi dello stato. Chi manipola la sofferenza sociale e se ne serve per rivolgerla contro l’anello più debole della catena, i migranti, fino a privarli per giorni dell’assistenza sanitaria, come è accaduto sulla nave Diciotti, è una persona incivile, è un politico pericoloso che va combattuto a fondo e a viso aperto. Per questo, ci vorrebbero grandi manifestazioni di popolo contro le paure, le violenze, le prepotenze, in nome dei diritti, del rispetto, del senso di umanità che non dobbiamo perdere. E con l’obiettivo di combattere, invece, le delinquenze mafiose che lucrano anche sui migranti ma di cui sembrano ormai interessarsi in pochi (e se ce lo ricorda il presidente della camera ben venga!).

Tra gli europei, gli italiani sono quelli che più sovrastimano la percentuale di migranti presenti nel proprio paese (circa il 18% in più rispetto al dato reale) mostrando il «maggior livello di ostilità verso l’immigrazione e le minoranze religiose». È quanto emerge dall’analisi Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione dell’istituto Cattaneo di Bologna.

E qui si torna in scena con un unico obiettivo chiaro: ribaltare queste finzioni e convincere le persone che c’è chi gli sta trapanando il cervello con enormi baggianate, con campagne di convincimento spesso illegali, che passano dai siti strutturati, ricattatori e semicamuffati alla Dagospia (una autentica vergogna italiana che nemmeno i grandi giornali osano denunciare) alle piazze virtuali di facebook, dove ad ogni sbattito di ciglia vieni assalito da una montagna di odio, insulti, accuse, volgarità e notizie completamente inventate, ma presentate con tutti i crismi della legalità. Una fatica improba e dai risultati incerti, indubbiamente, ma è una strategia da tentare assolutamente, anche rimettendo insieme le carte deontologiche sviluppate in diverse situazioni nel corso degli anni e partire da lì come base per ricostruire un rapporto corretto con i lettori-spettatori e con gli utenti del web.

Ma questo lavoro adesso può solo partire dal basso. Non ci si può aspettare un leader salvifico o un intervento esterno di stampo miracolistico: partiamo da Assisi costruendo fra volontari, associazioni, persone indignate e che vogliono resistere a questo andazzo, un movimento unito e trasversale, una rete delle reti che lavori per ricostruire una cultura, una sensibilità, una storia. Per fare dell’Italia quel paese solidale, geniale, creativo, e profondamente umano che spesso è riuscito ad essere, nonostante tutto.


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