Napoli: branco di bulli scaraventa disabile in un cassonetto. Non chiamiamola “goliardata”

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Un video diventato virale, non appena pubblicato sui social e che ritrae una baby gang mentre scaraventa in un cassonetto della spazzatura un disabile con evidenti disturbi psichici, tra grasse risate e cori da stadio, pone l’accento sulla dilagante emorragia di valori che sta dissanguando l’Italia.
Succede a Fuorigrotta, quartiere della periferia occidentale di Napoli, in una sera qualunque d’estate.
Una sequenza di una dozzina di secondi, pregni di una violenza cieca, feroce, stolta, becera che hanno collezionato migliaia di visualizzazioni e conquistato le pagine di dozzine di giornali.
La svolta nelle indagini immediatamente avviate dal commissariato di Fuorigrotta per risalire all’identità dei quattro responsabili del gesto è giunta da tre coetanei dei componenti della banda che guardando quelle immagini, si sono resi conto di conoscere gli autori di quella incresciosa performance.
I tre ragazzini hanno quindi scelto di non diventare complici di quel branco, coprendone le malefatte. Non hanno voluto recitare il copione imposto dall’omertà, in certi contesti e in casi come questi.
Secondo quanto emerso dalla deposizione rilasciata agli inquirenti dai tre ragazzini, i membri della gang sono tre maggiorenni e un minorenne, tutti incensurati, provenienti dai quartieri di Scampia, Secondigliano e Mugnano.
I quattro sono stati denunciati per violenza privata, ma potrebbero essere accusati anche di lesioni, se emergessero delle ferite ai danni della vittima: rischiano una condanna fino a quattro anni.
Il più giovane del gruppo si difende e giustifica il gesto compiuto su Facebook: “Non siamo teppisti, non siamo una baby gang, tra di noi ci sono anche ragazzi che lavorano e comunque siamo tutti appartenenti a famiglie perbene. È un nostro modo di giocare, poteva accadere anche a me, lo facciamo perché a Napoli non c’è niente da fare”.
Una vicenda che riproduce nei meandri di una periferia qualunque, il messaggio che quotidianamente viene diramato su scala nazionale da chi tollera, giustifica, legittima, enfatizza e sponsorizza il linguaggio dell’odio e un modus operandi intriso di quella forma di violenza che possiede una matrice ed una direzione ben precise e che impietosamente e sistematicamente si scaglia contro “i deboli” e “i diversi”.
Le aggressioni di stampo fascista, gli insulti, le ingiurie, i pestaggi contro i migranti, i disabili, gli omosessuali e tutti coloro che agli occhi dei servi di quel credo smettono di essere persone e diventano bersagli contro i quali scagliarsi. Finanche le minacce e le angherie delle mafie, nell’era contemporanea, non vengono più chiamate con il loro nome.
Non si parla più di razzismo, xenofobia, omofobia, bullismo, ma di “goliardate”.
E’ così che quattro ragazzi si ritrovano a violentare la dignità di un disabile per “ammazzare la noia” in una sera qualunque d’estate, animati dalla consapevolezza che l’alibi morale e le attenuanti generiche gli vengono fornite dal clima che troneggia sull’intero stivale.
Il barlume più nitido di speranza, nel buio pesto di una sera qualunque d’estate, viene disegnato dal ribelle atto di legalità ordinaria compiuto da tre ragazzi, coetanei del branco, ma “diversi” da quei bulli, nel cuore, nella mente e nelle intenzioni.


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