Legalità, il timone che muove la macchina del giornalismo d’inchiesta

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Quale linguaggio usare nel tempo spiacevole dell’hate speech, quali regole applicare, quali valori tenere bene impressi e quali punti cardine conservare delle molte carte deontologiche che i giornalisti si sono dati? Articolo 21 quattro mesi fa aveva offerto un contributo condiviso e, diciamo pure, decisivo ma un cronoprogramma non studiato e incredibilmente opportuno è arrivato nel corso-incontro inserito nell’ambito di Contromafie, voluto da Libera e “capitato” nel giorno della tentata strage di Macerata, la data giusta. Mentre sabato mattina in Fnsi si discuteva di come migliorare la praticabilità della professione, ponendo fine alle querele bavaglio e rendendo più trasparente l’accesso agli atti e agli archivi di informazione, sugli smartphone scorrevano le notizie di Macerata, la notizia di cronaca figlia(anche) di un pessimo racconto della notizia precedente di cronaca  nera, ossia l’omicidio efferato di Pamela Mastropietro. Doveva andare così. Il mondo dell’associazionismo che si occupa di diritti e il mondo dell’informazione  messi davanti all’esigenza di un modo più corretto e utile di raccontare notizie proprio nel giorno dell’ implosione di un giornalismo che, inutile negarlo, ha contribuito ai fatti di Macerata. E questo ha reso più attuale, stringente, anzi necessario, il dibattito coordinato da Lorenzo Frigerio. Il direttore di LiberaInformazione ha riportato la legalità al centro della discussione. Già, è la legalità il timone che muove la macchina del giornalismo d’inchiesta e dei racconti rigorosi dei fatti. Concetto condiviso da tutti i presenti, i quali, però, hanno sottolineato con forza, e a tratti con amarezza, quali sono i freni esistenti.

Oltre tremila giornalisti minacciati dal 2006 ad oggi, oltre cinquemila querele per diffamazione ogni anno e di queste il 90% sono azioni temerarie. Senza incidere su questi dati, illustrati da Alberto Spampinato di Ossigeno per l’Informazione, è impossibile creare un’informazione realmente libera. E le modifiche legislative debbono essere un impegno a carico di tutti.

Ma c’è dell’altro: l’accesso alle fonti e agli archivi nel nostro Paese è un’impresa, si possono leggere il 15% circa di tutti i dati disponibili. Ma dalla “effettiva possibilità di entrare in possesso dei dati dipendono un buon giornalismo e una buona tenuta della democrazia”, è il messaggio portato al convegno dalla Rete degli Archivi, portale che persino i giornalisti conoscono e utilizzano ancora troppo poco. A proposito di archivi è Avviso Pubblico che ha ricordato a tutti quanto conta non perdere il conto degli amministratori minacciati, qauelli che lavorano senza avere contatti con la malavita organizzata, alcuni al prezzo di gravi intimidazioni, che, come si sa, in Italia sono arrivate sino all’omicidio.

L’avvocato Giulio Vasaturo, che rappresenta molti giornalisti in processi in cui sono accusati di diffamazione o sono parte lesa per le intimidazioni e le minacce ricevute, ha riportato l’attenzione sulla dura realtà, anche economica, di chi si trova in un’aula giudiziaria per aver fatto un racconto scomodo, dunque pur rispettando tutte le norme ordinistiche e deontologiche. Per il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, la battaglia per ottenere norme contro le querele bavaglio è purtroppo ancora aperta e attuale perché non si sono avuti risultati neppure in questa legislatura e dunque sarà tema di riproporre in quella che verrà. Tema cui aggiungere la difficile situazione economica e retributiva della categoria, dunque esiste una questione sindacale strettamente legata alle querele bavaglio. Di linguaggio deontologicamente corretto nella cronaca ha diffusamente parlato nel suo intervento il Presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Verna. Ed è tornato su un concetto espresso già altre  volte anche il Presidente della Fnsi, Beppe Giulietti, secondo cui “la libertà di espressione non può e non deve coincidere con la libertà di insultare e la nostra categoria deve farsi carico di condannare chi incita all’odio o alla discriminazione in articoli di stampa o televisivi o sulla rete che con la scusa di dare voce a tutti spingono il piede sull’acceleratore del razzismo e del fascismo. La nostra Costituzione è antifascista e se ne deve tenere conto”.

Il dibattito è proseguito nel pomeriggio sul linguaggio del giornalismo e la deontologia da riunire in un solo grande e impegnativo manifesto, come proposto appunto da Articolo 21 nel manifesto di Assisti del settembre scorso. Il confronto organizzato da Libera naturalmente non è stato esaustivo, non voleva esserlo ma ha avuto il pregio, probabilmente anche il coraggio e la forza, di riportare al centro dell’attenzione temi che animano le cronache e i commenti degli ultimi mesi, ossia sulle modalità con cui si descrive la violenza sulle donne, la discriminazione di genere, l’immigrazione/integrazione e, da ultimo, il depauperamento del patrimonio dei diritti dei lavoratori. Oggi la cronaca sull’idea del braccialetto per i dipendenti di Amazon e il record delle morti sul lavoro non è la stessa che avremmo letto dieci, quindici, trenta anni fa. E una ragione ci sarà.


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