2018: che anno sarà?

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Non sappiamo che anno sarà questo 2018 che è appena cominciato ma di una cosa diamo sicuri: l’inizio è stato dei peggiori. Ci hanno lasciato, infatti, un magistrato esemplare, animato da una straordinaria passione civile, come Ferdinando Imposimato, protagonista di indagini scottanti sulla stagione dei misteri e delle stragi, e un maestro e un amico come Albino Longhi, direttore a più riprese del Tg1 e protagonista di una stagione forse irripetibile del giornalismo italiano e della RAI. Imposimato l’ho incontrato una volta sola, nel novembre del 2015, in occasione di una manifestazione organizzata dal movimenro delle Agende rosse di Salvatore Borsellino in difesa di Nino Di Matteo, da poco minacciato di morte da Totò Riina, e mi ha fatto un’ottima impressione, col suo garbo, la sua notevole preparazione giuridica e, soprattutto, la sua grande disponinilità nei confronti del prossimo. Di chi sia stato Longhi e di cosa abbia rappresentato per il mondo dell’informazione e per la nostra associazione, invece, avete già avuto modo di leggere ampiamente, con testimonianze e commenti assai più autorevoli di quanto possa essere il mio; pertanto, preferisco raccontarvi dell’unico incontro che ho avuto con lui, dell’unica volta che mi è capitato di ascoltarlo dal vivo e di ciò che mi è rimasto di quell’esperienza. Era il 3 marzo 2012, ricorreva il decimo anniversario di Articolo 21 e Longhi fornì una bella lezione su cosa sia stato, cosa sia e cosa debba essere in futuro il giornalismo in un Paese complesso e in perenne crisi come il nostro. Ne ricordo ancora la modernità, la freschezza, l’entusiasmo, la cortesia e il gusto per le novità, con quello sguardo curioso da vecchio cronista che lo induceva a consumare metaforicamente le scarpe, a continuare a cercare, a conoscere, a scoprire, a tentare di sapere e a fornire, il più delle volte, una disamina lucida e attualissima della realtà.

Ricordo ancora il suo costante appello alle giovani generazioni affinché non smettessero di amare questa professione, affinché vi si decidessero con coraggio, affinché seguissero gli esempi di indipendenza e autorevolezza delle straordinarie figure del passato che oggi, troppo spesso, si tende a ignorare e umiliare, in nome di un giovanilismo malato e controproducente. E aveva ragione, Longhi, anche quando si difeniva un rivoluzionario: certamente mite, certamente pacato ma, proprio per questo, ancora più efficace ed incisivo, come testimoniano i suoi anni alla guida del Tg1 e tutte le sue esperienze umane e professionali.
Il 2018, poi, è un anno che condurrà l’Italia alle urne, con tutte le incognite legate ad un appuntamento tanto cruciale quanto, purtroppo, caratterizzato dell’incertezza e dallo sfarinamento del tessuto sociale e, di conseguenza, delle forze politiche che si sfideranno in campagna elettorale.
Ben più drammatico e avvincente il quadro internazionale, con l’Iran squassato dalla rivolta di una società in subbuglio (e non solo per quanto riguarda il mondo giovanile e i ceti più istruiti ma anche, se non soprattutto, le fasce medio-basse della popolazione) a causa del tradimento delle attese e delle speranze che erano state suscitate dagli accordi di Vienna sul nucleare e dalla fine delle sanzioni, l’Europa chiamata a lasciarsi alle spalle il devastante biennio della Brexit e delle interminabili trattative che stanno segnando il percorso dell’addio di Londra al Vecchio Continente e la Russia che andrà al voto il prossimo 18 marzo e vedrà Putin sfidare sostanzialmente se stesso, in seguito al ritiro forzato del suo storico oppositore Aleksej Naval’nyj. Sarà interessante, poi, seguire l’evoluzione della telenovela spagnola, con la Catalogna a un passo dalla secessione e il governo di Madrid che continua a fare sfoggio di inusitata arroganza, con la conseguenza di essere riuscito a trasformare un personaggio tutt’altro che positivo come Puigdemont in una sorta di eroe in lotta per la dignità del suo popolo.

Oltreoceano, invece, sarà bene appuntare l’attenzione su ciò che accadrà  in Messico, dove si vota il prossimo 1° luglio, e più che mai in autunno, quando si recheranno al voto sia il Brasile del dopo Rousseff, con tutte le sue contraddizioni, il larvato colpo di Stato del declinante Temer e la revanche di Lula che sfida il populista Jair Bolsonaro, un ex paracadutista ribattezzato “il Trump brasiliano”, sia, soprattutto, gli Stati Uniti, dove il Trump originale, il peggior presidente della storia recente, e forse di sempre, dovrà affrontare le elezioni di medio termine, con l’auspicio che la voglia di socialismo che sembra aver contagiato i campus universitari si estenda ad altre fasce della popolazione e, possibilmente, vada al di là delle ricche e colte città della East Cost e della California.
Tralasciando i dubbi legati alla vicenda Merkel, con la Cancelliera chiamata a dar vita all’esecutivo più incerto e delicato che sia mai stata chiamata a guidare, sarà bene puntare gli occhi sull’Oriente e, in particolare, sulla rampante Cina di Xi Jinping e sulla terribile Corea del Nord di Kim Jong-un, le cui minacce all’umanità non devono essere sottovalutate per nessun motivo al mondo.

Assisteremo, infine, ai Mondiali degli altri (trasmessi da Mediaset a causa della diciamo discutibile gestione dei diritti televisivi da parte dei vertici RAI), con l’auspicio che almeno l’italia del pallone riesca a darsi un senso, un’organizzazione, un commissario tecnico di valore e a ripartire dai tanti giovani in gamba che pure ci sono ma faticano a trovare spazio nei rispettivi club e, di conseguenza, ad acquisire esperienza, in particolare per quanto concerne l’ambito internazionale.
Saranno, insomma, dodici mesi durante i quali difficilmente ci annoieremo. L’auspicio è che anche la nostra comunità li affronti nel migliore dei modi, facendo sentire la propria pluralità di opinioni in una stagione nella quale si tende a privilegiare il falso monolitismo, il pensiero unico corrente e il grido mediatico privo di costrutto. Tre aberrazioni che hanno sempre fatto orrore al grande Albino Longhi, cui rivolgiamo un ultimo, commosso abbraccio e la promessa di mettere a frutto i suoi tanti insegnamenti.

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