Papa Giovanni, don Di Liegro e il valore della misericordia

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Cinquantacinque anni dal magnifico discorso pronunciato a braccio da papa Giovanni XXIII la sera dell’11 ottobre 1962, noto anche come il “Discorso della luna”, ossia uno dei momenti più alti e nobili della storia della Chiesa.
Venti anni dalla scomparsa di don Luigi Di Liegro, sacerdote con spirito missionario, protagonista di una Roma che purtroppo sembra essersi perduta, simbolo di carità, assistenza sociale, misericordia, bontà d’animo e gioia di vivere, sempre al servizio degli ultimi, dalla parte dei deboli, dei disperati, degli esclusi.

Diciamo che grazie all’operato di papa Francesco, almeno per quanto riguarda la Chiesa, avvertiamo meno la nostalgia di personalità come le loro: fari per la società nel suo insieme, oltre che per un ambiente bisognoso, oggi come allora, di progresso, rinnovamento e apertura.
Il Concilio Vaticano II, ad esempio, ringiovanì e avvicinò la Chiesa alle persone dopo la stagione all’insegna della massima chiusura di Pio XII; don Di Liegro è stato, invece, il fondatore della Caritas diocesana di Roma, sostenitore della necessità di tenere unito il tessuto sociale, di contrastare ogni forma di degrado e di prevenire con cura, oltre che curare, le piaghe legate all’abbandono, alla disperazione e alla sconfitta rappresentata dai senzatetto, per lo più vittime di una comunità che non è più tale, escludente, feroce e selettiva a livelli quasi darwiniani.
Ricordare questi due anniversari è, dunque, un buon modo per riflettere sul mondo che vogliamo, sulla società in cui vogliamo vivere, sull’eredità che intendiamo lasciare alle nuove generazioni, sulle visioni, le utopie, i sogni e i valori, primo fra tutti quello della solidarietà, che desideriamo coltivare e con cui desideriamo innervare il nostro stare insieme.

Due uomini di fede in grado di parlare a tutti, due precursori di Bergoglio, due esempi da seguire e due punti di riferimento cui ispirarsi: nella vita quotidiana e nel nostro percorso collettivo, coscienti dell’imprescindibilità del prossimo e del bisogno, ormai tangibile, di lasciarci per sempre alle spalle il trentennio dell’egoismo e dell’individualismo elevati a virtù.


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