La sindrome del leader a vita. In Africa una scelta calcolata

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Qualcuno l’ha definita “sindrome del leader a vita” che poi è anche il culto del Big Man, molto noto in Africa.

Davvero calzante come riferimento a quei presidenti africani che, concluso il loro mandato istituzionale, fanno di tutto per rimanere al potere.

A cominciare dagli emendamenti costituzionali. Veri e propri “constitutional coups”, colpi di Stato istituzionali. Negli anni, infatti, ai colpi di Stato militari – nel decennio 1970-1982 erano stati 72, scesi ai 33 dal 2000 al 2012 – si è sostituito l’uso del consenso e del voto parlamentare per avallare democraticamente l’abuso di potere.

Dal 2000 sono una dozzina i leader africani che le hanno provate tutte (e molti ci sono riusciti) per restare in carica nonostante la scadenza dei termini dettati dalla Costituzione.  La metà di loro ci è riuscita.

È così che il continente africano è diventato quello dove c’è la più alta percentuale di leader in carica da decenni, vere e proprie dittature di fatto (con persone la cui età richiederebbe la pensione).

E ci sono Paesi dove l’introduzione del limite di anni di presidenza è stata approvata senza la retroattività, come l’Algeria e lo Zimbabwe – dove Robert Mugabe potrà quindi presentarsi ancora nel 2018, e all’epoca avrà 94 anni.

Non va però sempre bene a chi usa ogni strategia in suo possesso per evitare l’alternanza. Sono sei i Paesi dove tali tentativi sono stati infruttuosiContinua su vociglobali


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