Venezia. Oltre la Biennale

0 0

Attorno a quello che il presidente della Biennale, Paolo Baratta, definisce la nave ammiraglia ,ovvero la 57° Esposizione d’Arte Internazionale,  fioriscono le iniziative: Non c’è istituzione o artista di fama che non desideri in qualche modo essere presente. Quest’anno, poi, ricorre il centenario della Rivoluzione Sovietica, un appuntamento immancabile.

Ci ha pensato il magnate russo del petrolio Leonid Mikhhelson che per l’occasione ha restaurato un palazzo dell’800 alle Zattere.

“Space force construction” è il titolo della mostra aperta fino al 25 agosto.

C’è la parte storica, ovviamente,  e la parete d’ingresso è tutta dedicata ai ritratti di Lenin C’è persino lo studio ottico di Trotsky  e naturalmente gli artisti dell’avanguardia dell’epoca , costruttivisti come El Lissitzky . Poi la narrazione  si estende all’attualità dell’intreccio tra arte e cambiamenti sociali, con un’attenzione particolare all’evoluzione dei mass-media. In più la realtà potenziata di una second life, dove il cinese Cao Fei crea gli avatar di Marx, Lenin e Mao che in questo modo realizzano la loro utopia.

Fino al 25 agosto

Di rivoluzione in rivoluzione è Cuba il paese protagonista scelto da Michelangelo Pistoletto per il suo discorso sul diverso, non la tolleranza ma un’interazione che fa sì che il contatto tra due culture differenti non è una somma, ma una nuova realtà . “One and one makes three” recita il titolo della sua retrospettiva  nell’Abbazia di San Giorgio nell’omonima isola. Focus è il cerchio di plexiglas, all’incrocio delle navate. All’esterno la scritta, declinata in lingue diverse,” I Love Difference “; all’interno un gioco di riflessi dove l’immagine replicata suggerisce altrettanti, coinvolgenti , punti di vista.

Un altro continente, invece, l’America,  ma vista nell’ottica di  Emilio Vedova,  un artista sempre  immerso  nello “scontro  di situazioni” siano  la guerra di Sarajevo;  i cataclismi naturali come le alluvioni o le dittature sudamericane.

Rappresentato in quattordici grandi dipinti del 1976 “De America”, esposti alle Zattere nel magazzino del sale della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova,  pieni di luce nel loro rigoroso bianco e nero, esplosivi di energia nel gesto deciso.

Tra i protagonisti dell’estate veneziana figurano l’artista Jan Fabre , che si ritiene l’erede della tradizione fiamminga, quella che impiegava anche frammenti di ossa per ottenere la luminosità dei suoi paesaggi ad olio. Tema la metamorfosi,  simbolizzata dallo scarabeo e da un albero di alloro, metafora della vita e della morte che trovano il loro apice nell’ostentata esibizione degli organi sessuali maschili e femminili, magari all’apice di una catasta di ossa umane (in vetro).

All’Abbazia di San Gregorio.

Alla Collezione Peggy Guggenheim “Luce Filante” di Mark Tobey,  artista statunitense impregnato di spiritualità orientale.  Da non perdere, a palazzo Ducale i ritratti in bianco e nero di Shirin Neshat; a Ca’ Pesaro, invece,  quelli coloratissimi  di David Hockney. Alle Gallerie dell’Accademia i dipinti di Philip Guston  interagiscono con le sue letture poetiche, da EugenioMontale a Eliot.

“Intuition”   è il titolo della mostra nel magico spazio di Palazzo Fortuny: l’intuizione all’origine della creatività a partire  dalle steli antropomorfe del III millennio a.C., proseguendo con artisti contemporanei come Pollock e Beuys fino alla nuova generazione di trentenni dediti alle performance e all’arte elettronica.

Infine dilaga nelle due sedi di Punta della Dogana e di Palazzo Grassi la mostra di Damien Hirst: la più costosa degli ultimi anni, anche per la preziosità dei materiali impiegati:  oro, pietre preziose, diamanti. Tesori che emergono da un supposto naufragio, avvenuto intorno al primo secolo a.C. della nave contenente i tesori collezionati da un ricco liberto di nome Amotan.

Mostruosi animali marini che avvolgono nelle loro spire incaute sirene; una rivisitazione del mito dei Minotauro, contrapposta alla ieraticità dei faraoni e delle sfingi egiziane.  Ricorrente il simbolo della Medusa, splendida quella in cristallo di rocca che filtra la luce dall’esterno.

Fuori misura e per questo molto criticata la statua del demone che si innalza, per 18 metri , nudo nella sua esibita virilità, ad occupare tutti i due piani di Palazzo Grassi.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21