“Sette tesi sulla magia della radio”. Intervista a Massimo Cirri

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Perchè la radio è magica? Perchè come oggetto fisico quasi non esiste più: esce dal computer, dall’ipad, è un’app sullo smartphone. Cambia continuamente. È quasi scomparsa ma è riuscita a stare sempre vicina alla vita quotidiana delle persone, a intrecciarsi con quello che facciamo: la radio, adesso, ce la portiamo addosso”. Ne parla uno che se ne intende, non foss’altro perchè la fa: prima, nei suoi anni movimentisti della Milano da (non) bere, a Radio Popolare; da vent’anni a “Caterpillar”, su RadioDue. Lui è Massimo Cirri, toscano trapiantato a Milano, psicologo e giornalista, un passaggio anche a Trieste fra gli eredi di Basaglia. Ha appena pubblicato “Sette tesi sulla magia della radio” (Bompiani, pagg. 317, euro 13). «La radio – prosegue Cirri, classe 1958 – lavora per sottrazione: un canale solo di comunicazione, l’udito, che lascia libertà di fare ed essere altro: lavorare, divertirsi, viaggiare. La radio parla a persone attive e le persone parlano alla radio in tanti programmi aperti al pubblico. È la tivù che vuole corpi sfatti stesi di un divano».

Marshall McLuhan parlava di radio medium caldo e tv medium freddo.
«Lui ha classificato così i media proprio a seconda della partecipazione o del coinvolgimento di chi li fruisce. La radio è un medium caldo perché, dice, “tocca intimamente, personalmente, quasi tutti. È questo il suo aspetto immediato: un’esperienza privata”. Ed è una delle sue magie: la sensazione che parli a te, direttamente. Lo sai che quel programma ha migliaia di ascoltatori ma la voce di chi parla ti fa sentire un legame unico, personale. Che diventa collettività».

Spieghi.
«È avvenuto nel bene e nel male: è la radio, in Germania, a costruire il nazismo chiamando il popolo a raccolta contro i nemici, gli ebrei, i comunisti. È successo, uguale, in Ruanda nel 1994, quando una radio chiamava allo sterminio dei nemici».

Per raccontare la magia della radio lei parte dal Titanic
«L’idea della radio, per come la conosciamo oggi, parte da lì. Dal giovane marconista David Sarnoff che a New York ascolta i ticchettii del Titanic che chiede aiuto. L’elenco di chi si è salvato ed è bordo di un’altra nave, quello dei morti. La radio, allora, è ancora in morse: punti, linee, punti. Dall’enorme interesse che c’è per quella storia lui intuisce che la radio potrebbe diventare un mezzo per tutti, saltando i giornali».

E che fa?
«Propone una “music box” da vendere agli americani. Non gli credono, lui non desiste. La svolta nel 1921 quando manda in onda un incontro di boxe per il mondiale dei massimi. Lo ascoltano nelle sale da concerto, negli auditorium. Il successo è tale che tutti vogliono comprare una radio, averla a casa. Lui diventa un manager ricco e potente. E racconta che l’intuizione gli era venuta nella notte in cui il Titanic andò a fondo. Potrebbe essere solo una storia. Ma la radio è fatta per raccontare le storie».

Come la storia siciliana del triestino di Sesana Danilo Dolci
«Dolci sapeva guardare avanti. Nelle valle del Belice dopo il terremoto del 1968, dove in pochi leggono i giornali e ancora meno ci credono, capisce la potenza della radio. Ne costruisce una, illegale, che trasmette la voce dei “poveri cristi”, quelli che stanno nelle baracche e rischiano di morirci dentro. Lancia un sos, come la radio del Titanic: “Sos, Sos. Qui parlano i poveri cristi della Sicilia occidentale, attraverso la radio della nuova resistenza”. E si sentono le voci vere delle persone, per la prima volta, semplici e dure. Vanno avanti per 72 ore, poi arriva la polizia e spegne tutto».

Lei ha lavorato anche a Trieste, con i “basagliani”
«E ho scoperto Radio Fragola, che trasmette da dentro l’ex ospedale psichiatrico, dando alle persone un altro strumento per stare in un circuito di comunicazione. Perché qualsiasi problema si abbia – salute mentale o altri “incasinamenti” della vita – se si esce dal circuito del comunicare e ci si ritrova chiusi da qualche parte è sempre un problema. Adesso sone decine, sparse in tutta Italia, le radio della salute mentale».

Arbore e Boncompagni hanno effettivamente rivoluzionato la radio in Italia?
«Sì, per il linguaggio. Con “Bandiera gialla” nel 1965 e, di più, con “Alto gradimento” nel 1970. Per come stavano davanti al microfono: disinvolti, parlando e non leggendo, mettendo molta musica americana, e poi, improvvisamente, accelerando. Non si era mai sentito nessuno parlare così alla svelta alla radio: un ritmo nuovo, un chiacchierare in due, un continuo divagare, un prendere in giro tutto e tutti, pure se stessi. Una lingua nuova, giovane, che sembra non fermarsi davanti a nulla. Nel programma arriva uno, urla: “Patroclooo!” e sparisce. Poi c’è un colonnello che non ha senso. Poi ci sono un uccello preistorico del Nicaragua, un astronauta spagnolo che hanno dimenticato in orbita e tanti altri mai pensati prima. E soprattutto questo modo di parlare in radio: amichevole, confidenziale, “normale”. C’è l’improvvisazione in diretta».

Il prologo delle radio libere
«Che infatti arriveranno di lì a qualche anno: migliaia di persone da un giorno all’altro, improvvisando, senza saperne nulla, dopo aver parlato in pubblico all’assemblea a scuola, cominceranno a parlare davanti al microfono. Avranno in mente, tutti, anche senza saperlo, Arbore e Boncompagni e la loro cifra comunicativa».

Tanti anni fa sembrava che la tv avrebbe oscurato la radio
«Si è solo spostata. Negli anni Trenta la radio occupa il salotto buono e tutta la famiglia le si raduna intorno in religioso silenzio. Quando arriva la televisione la radio va in cucina, in bagno, nella camera dei ragazzi. Poi in auto, poi diventa portatile. Così è sempre più accanto alle persone. È interstiziale, entra dappertutto e continua a fare quel che ha sempre fatto: tiene aperto un filo di comunicazione, mette in contatto, lega le persone a una comunità ideale».

“Caterpillar” è ormai un “never ending radio show”?
«“È un mondo difficile, e vita intensa, felicità a momenti, e futuro incerto”, come cantava Tonino Carotone. Ma noi “tiremm innanz”, come diciamo qui a Milano. E dal 29 giugno al primo luglio ci festeggiamo a Senigallia, con il nostro tradizionale “Caterraduno”».

Della “sua” Radio Popolare cosa ricorda?
«La piacevolezza dello sperimentare, un gruppo di persone intelligenti, un grande calore, il piacere adolescenziale del prendere in giro il proprio mondo: era quello, variegato e permaloso, della sinistra milanese. Libertà assoluta, porte aperte a chiunque, energie».


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