Scelte coraggiose alla 57. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia

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Venezia. Sono 120 gli artisti invitati, di cui ben 103  partecipano per la prima volta alla 57.Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di  Venezia, in corso dallo scorso 13 maggio e fino al 26 novembre 2017.   Una scelta coraggiosa della curatrice Christine Macel. Come invitante è il titolo della rassegna ” Viva Arte Viva”, in nome dell’atto artistico “atto di resistenza, di liberazione e di generosità” come sottolinea il Presidente, Paolo Baratta.

La rassegna è articolata in 9 padiglioni, due in quello  Centrale ai Giardini di Castello ; 7 all’Arsenale. Con una premessa ironica appena all’ingresso del Padiglione Centrale. La contrapposizione tra l’ozio, d’ispirazione umanistica, impersonato da Franz West, fotografato nel relax di diversi divani e l’attività frenetica del laboratorio di Olafur Eliasson che per tutta la durata della manifestazione invita i visitatori ad assembleare dei moduli di lampade.

Ai giardini un primo padiglione è dedicato ai Libri con tutto quanto questo comporta, compresi gli armadi, più o meno probabili, per contenerli, spesso un’ossessione bulimica. Un’ossessione peraltro motivata quella di Liu Ye che, avendo assistito alla distruzione dei libri durante la Rivoluzione Culturale Cinese, ha fatto della collezione di testi, ivi compresi anche i classici occidentali, una vera e propria missione. Libro significa anche scrittura e qui è da segnalare Abdullah Al Saadi, nativo degli Emirati, che sperimenta var tipi  di scrittura e i più impensabili  contenitori per raccoglierli, avendo come prima fonte d’ispirazione i rotoli del Mar Morto.

Il secondo padiglione, il più drammatico di tutti, è quello delle Gioie e delle Paure con i volti di donna deformati del siriano Marwan; l’autolesionismo fisico dell’ungherese Tibor Hajas contrapposto alla lievitazione del corpo dell’argentino Sebastian Diaz Morales. Infine la sensibilità mitologica e femminista della tedesca Kiki Smith.

All’Arsenale si riprende con il padiglione dello Spazio Comune: protagonista Maria Lai, l’artista sarda (1919 -2013) che seppe nel 1981, in ampio anticipo sui tempi, coinvolgere l’intera popolazione di Ulassai perché ritrovasse il proprio senso di appartenenza, attraverso le strisce di tela che collegavano le diverse case. La tela, il suo tessere la trama, si dipana peraltro, interpretata da diversi artisti per tutte le Corderie. Il padiglione della Terra s’intreccia con la tematica ecologica nella statunitense Bonnie Ora Sherk  che ha trasformato un’area incolta,  adiacente all’autostrada di San Francisco,  in uno spazio dedicato all’arte e all’agricoltura urbana. Il giapponese Shimabuku, invece, prende spunto dal trasferimento di alcune scimmie che vivevano in una zona innevata del  suo paese nel clima torrido del deserto del Texas per un discorso sull’adattabilità degli esseri viventi. Nel padiglione delle Tradizioni il sardo Michele Ciacciofera  riprende il mito delle Janas, fate benefiche mentre la messicana Cynthia Gutierrez  scolpisce le sue sculture, poste su un blocco di pietra,  nei tessuti locali quale atto di protesta contro il colonialismo

Il Padiglione degli Sciamani è incentrato su una tenda dove si svolgono dei riti, gli stessi che presiedono alla creatività artistica: non è forse uno sciamano per  antonomasia,  il mitico Joseph Beuys, a cui si allude ?

Padiglione Dionisiaco ovvero la sessualità nel suo prorompere spesso scomposta come nelle maliziose sottovesti della libanese Huguette Caland, che mettono  in evidenza un pube infiammato. Gli indumenti intimi femminili, ma con una  sessualità più allusiva, sono anche ripresi dalla svizzera Heidi Bucher.

I colori dell’omonimo padiglione possono variare dalle delicate sfumature dell’italiano Giorgio Griffa, un artista giustamente rivalutato dopo anni di oblio, all’esplosione delle balle in fibra, appoggiate al terreno della statunitense Sheila Hicks.

Infine il Padiglione del Tempo e dell’Infinito ha l’essenzialità elegante delle gocce di ceramica dorata del cinese Liu Jianhua.

In fondo all’ Arsenale si trova il Padiglione dell’Italia, quest’anno curato da Cecilia Alemani  e intitolato “Mondo Magico”  che  ha riscosso unanimi consensi. Tre gli artisti selezionati:  Adelita Husny-Bey con un video dalla tematica multiculturale e di genere ; Giorgio Andreotta Calò che trasforma, in omaggio alla laguna, uno degli ambienti in  una piscina e, soprattutto, Roberto Cuoghi che prende spunto dal testo medioevale “Imitatio Christi” per una meditazione sul disfacimento dei corpi, a cominciare dall’immagine stessa del Cristo,  nel deteriorarsi causato  da materiali volutamente  deperibili. Morte e resurrezione ne sono i due poli.

Tra i  padiglioni stranieri da segnalare il Sudafrica, artisti Candice Breitz  e Mohau Modisakeng,  sui temi dell’immigrazione da e verso questo paese africano,  con conseguente compromissione dell’identità, specie per quanto riguarda le minoranze etniche. Identità che coinvolge, secondo Anne Imhof, rappresentante della Germania, il rapportarsi del corpo nella scenografia di un vissuto urbano da incubo che include anche l’aggressività violenta dei doberman. Si fa sberleffo, invece, dello stile  neoclassico  della Gran Bretagna,  Phillida Barlow con esagerate, eccessive, allegre installazioni fuori e dentro l’edificio.

Un tempio della musica è diventato il padiglione francese di Xavier Veilhan  dall’acustica perfetta , dove trovano la loro collocazione diversi strumenti, a cui si alternano, per tutto il periodo della Biennale, vari professionisti. La Russia  mette in scena  un’istallazione  di Grisha Bruskin,  gremita di personaggi,  a significare le masse della rivoluzione del 1917.

Un girone infernale come il citato nono dell’Inferno di Dante.

Negli Stati Uniti, infine, Mark Bradford indica nella resilienza il punto di convergenza tra la  speranza e la paura che attraversa il suo paese sia nella vita quotidiana privata che in quella pubblica.

Protagonista la città di Los Angeles.

Lidia Panzeri


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