Irpef della discordia tra Renzi, Calenda, Gentiloni  

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Irpef tagliata: da vent’anni è il sogno irrealizzato degli italiani. È la principale e più osteggiata tassa nazionale, quella che grava sui redditi personali di lavoratori e pensionati. La diminuzione dell’Irpef avrebbe un doppio effetto positivo: metterebbe un po’ di soldi nelle tasche degli italiani e aiuterebbe l’aumento dei consumi, fondamentale per sostenere la debole ripresa economica.
Meno Irpef è da sempre nei progetti di Matteo Renzi. Quando era presidente del Consiglio, nel suo cronoprogramma sulle riforme, aveva promesso di tagliare l’Irpef nel 2018. Ora ci siamo, mancano pochi mesi all’appuntamento. Da segretario del Pd lo scorso aprile ha confermato l’impegno: «Sull’abbattimento delle tasse dobbiamo andare avanti». In particolare «sull’Irpef io penso a tre aliquote, ma si dovrà studiare un percorso spiegando le coperture». Si dovrà discutere con la commissione europea una maggiore flessibilità sul deficit pubblico italiano. Ha ricordato al suo governo che lui riusciva ad ottenere 20 miliardi di euro l’anno da Bruxelles. Lo scorso novembre, quando era ancora a Palazzo Chigi, delle simulazioni parlarono della necessità di trovare circa 10 miliardi di euro per coprire le minori entrate determinate dall’eventuale riduzione dell’Irpef.
Renzi e il governo, però, non parlano la stessa lingua. Mentre si stanno gettando le basi della legge di Bilancio del 2018, la fondamentale manovra annuale sui conti pubblici, l’esecutivo si divide anche al suo interno su quali tasse ridurre, di quanto e come. E, comunque, per adesso non c’è traccia di tagli dell’Irpef. Manca, in particolare, nel Def (Documento di economia e finanza) propedeutico alla manovra economica dell’anno prossimo.

L’economia sta andando meglio rispetto alle previsioni sia nel 2016 e sia nel 2017. Il dilemma è se premiare nella legge di Bilancio le imprese o i cittadini. Carlo Calenda e Paolo Gentiloni, nei giorni scorsi, si sono sganciati da Renzi. Il ministro dello Sviluppo economico dà la preferenza alle aziende: «La priorità è abbattere il carico fiscale sulle imprese, che costa immensamente meno rispetto al taglio dell’Irpef». Il tecnico già aderente a Scelta civica, il defunto partito di Mario Monti, spiega che si tratta di una strada obbligata: «La diminuzione delle tasse deve essere sulle imprese e non generalizzata, perché non siamo in grado di fare un taglio gigantesco dell’Irpef che sarebbe la via maestra».

Paolo Gentiloni, Pd, amico di Renzi e suo successore a Palazzo Chigi, ha una ricetta ancora diversa: «Faremo di tutto per la riduzione fiscale sul lavoro e in particolare sul lavoro dei giovani». Il presidente del Consiglio penserebbe a una riduzione delle imposte sui contratti di lavoro per favorire l’assunzione dei giovani. Il percorso è tutto in salita: «Se qualcuno descrive la prossima legge di Bilancio come una passeggiata si sbaglia».

L’economia e i conti pubblici vanno un po’ meglio, ma i margini sono stretti per le operazioni di spesa. La commissione europea continuamente punta il dito contro l’enorme debito pubblico italiano. Anche la Banca centrale europea (Bce) ha rilanciato l’allarme debito pubblico di alcuni paesi di Eurolandia. Sarebbero guai per nazioni come l’Italia se la Bce aumentasse i tassi d’interesse europei e se fermasse gli acquisti di titoli del debito pubblico (di 60 miliardi di euro al mese). In sintesi: il Belpaese deve stare attento a non compiere passi falsi per non innescare manovre speculative da parte dei mercati finanziari internazionali.
Ma, come si diceva una volta, il problema è politico. Soprattutto se le elezioni politiche si svolgeranno regolarmente la prossima primavera e non ci sarà un voto anticipato ad ottobre o a novembre, Renzi non può permettersi di presentarsi a mani vuote o, peggio, con una legge di Bilancio 2018 impopolare. Con gli 80 euro netti in più al mese in busta paga per gli stipendi medio-bassi, vinse le elezioni europee del 2014 con il 40,08% dei voti.
Successivamente andò male con la diminuzione parziale dell’Irap, l’imposta sulle attività produttive, e con la cancellazione delle tasse sulla prima casa. Mentre andò malissimo con il referendum sulla riforma costituzionale del governo, bocciato da quasi il 60% degli italiani lo scorso 4 dicembre.
Da mesi il segretario del Pd ripete: «Io le tasse le riduco davvero». Gli italiani, tra i contribuenti più tartassati del mondo, sono molto sensibili a questo tema. Il taglio dell’Irpef (un balzello enorme tra imposta nazionale, regionale e comunale) potrebbe essere la scelta giusta per varcare la soglia del 30% dei voti (assegnati dai sondaggi) e far rotta verso l’agognato 40% (alla Camera dà diritto al premio di maggioranza). Ma l’impresa è molto difficile. L’ex presidente del Consiglio deve affrontare quattro ostacoli: 1) l’offensiva delle opposizioni, 2) l’attacco della sinistra bersaniana uscita dal partito a febbraio, 3) i pareri contrastanti di Gentiloni e Calenda, 4) la linea finanziaria rigorista europea guidata dalla Germania.
Silvio Berlusconi per primo lanciò una campagna contro “le troppe tasse”. In particolare voleva ridurre le aliquote Irpef mentre Gianfranco Fini, l’alleato di An, spingeva per la diminuzione dell’Irap. Nel novembre 2004 scoppiò uno scontro tra gli alleati di centro-destra, ma l’allora presidente del Consiglio assicurò: «Ci sarà la riduzione delle aliquote dal primo gennaio 2005». Non se ne fece niente, invece. Gli alleati del presidente di Forza Italia e l’Unione europea, per motivi diversi, impedirono l’operazione Irpef. Dopo 13 anni la storia potrebbe ripetersi per Renzi.

Fonte: sfogliaroma.it


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