G7: il tramonto dell’Occidente

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C’è poco da fare: checché ne dica Gentiloni, il quale del resto va capito perché non avrebbe potuto raccontarla in un altro modo, il G7 svoltosi in questi giorni a Taormina si è concluso con un sostanziale fallimento.

Un fallimento dovuto a tre fattori: innanzitutto, la protervia e la tracotanza di Trump, il quale considera l’Europa non alla stregua di un interlocutore con cui confrontarsi, magari anche competere, ma in un clima di reciproca amicizia, dovuta a legami che affondano le radici negli anni dell’immediato dopoguerra e alla convenienza di fare fronte comune al cospetto delle sfide del Ventunesimo secolo, bensì un nemico da cui difendersi con ogni mezzo, a cominciare dal protezionismo in ambito industriale e commerciale; in secondo luogo, l’inesistenza dell’Europa, dove, a parte la Merkel, nessun altro esponente politico ha oggi l’esperienza, la capacità e la solidità necessarie per tenere testa agli Stati Uniti, con il giovane Macron che costituisce ancora un’incognita, la May che, estraniandosi dalle vicende relative all’Unione Europee, sta condannando il Regno Unito ad un isolamento di cui gli inglesi pagheranno, a breve, conseguenze amarissime e un’Italia ormai priva di ogni autorevolezza e credibilità internazionale; infine, la mancanza di senso, attualmente, di un istituto come il G7, il quale non è più in grado di decidere alcunché, essendo ormai i suoi componenti una serie di nazioni in declino, non solo economico ma anche demografico, ed essendo sempre più indispensabile coinvolgere nelle grandi scelte globali gli attori in via di sviluppo di questo mondo sempre più complesso e multipolare.
Il G7 di Taormina, voluto da Renzi in Sicilia anche per dare un segnale sul tema dei migranti e rivelatosi, proprio sul medesimo, un disastro totale, ha rappresentato, dunque, al meglio lo stato in cui versa l’Occidente nell’anno di grazia 2017: autoreferenziale, presuntuoso, autocentrato, privo di un’utopia e di un miraggio da inseguire, con una politica palesemente inadeguata, una serie di “homines novi” che stanno causando danni in tutti i settori e con un livello culturale complessivo in notevole declino, da cui deriva il degrado in cui siamo immersi in questa drammatica stagione, un’incapacità diffusa di tenere insieme una società sempre più sfibrata e tutte le altre conseguenze del caso, compreso il rischio di un decadimento che rischia di riportarci agli stati nazionali, alle chiusure provinciali e, entro qualche anno, alla perdita di qualsiasi influenza sui destini del pianeta.
Il G7, in poche parole, non serve più, specie fino a quando l’Unione Europea non sarà in grado di parlare con una sola voce: e parlare con una sola voce, nel caso specifico, significa non solo diventare adulti bensì diventare autonomi, smettendola di riconoscere agli Stati Uniti un eccezionalismo che non meritano, che non possiedono più e che, soprattutto, nuove gravemente ai nostri interessi.
Non a caso, l’unico leader politico in grado di tenere testa a Trump, di metterlo in guardia sui rischi che sta correndo il mondo a causa dei suoi provvedimenti e di manifestare un palese dissenso nei suoi confronti, ponendosi come contraltare globale di un personaggio oggettivamente pericoloso, è stato papa Francesco.
Se ciò è accaduto, è perché Francesco è alla guida di un’istituzione forte, riconoscibile e, in particolare, dotata di una precisa visione dell’avvenire e dell’umanità, ossia di un pensiero ideologico, di una capacità politica non comune e di tutte le qualità di cui avrebbero bisogno i falsi leader che si sono incontrati questo fine settimana a Taormina.
Ciò significa che i destini del pianeta, in questa fase, si decidono in Cina, in India, negli altri paesi emergenti, fra i petrodollari sporchi di sangue degli emiri e, per nostra fortuna, in Vaticano. L’Europa è assente e a Taormina abbiamo cominciato a renderci conto di quali siano i risultati della sua irresolutezza: o si inverte la rotta o per questa parte del mondo non ci sarà un domani.


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