“Nessuna pena mi restituirà Stefano. Ma io gli ho promesso verità e dignità”. Intervista a Ilaria Cucchi

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La decisione della Cassazione di annullare la sentenza di assoluzione nei confronti dei medici accusati di omicidio colposo per la morte di Stefano Cucchi, ha il sapore di una vittoria amara. Il giorno dopo è scattata la prescrizione del reato e non si vede all’orizzonte nessuna volontà da parte dei medici del Pertini di rinunciare alla prescrizione stessa. La macchina della giustizia, quella delle aule dei tribunali e dei giudici che decidono in nome del popolo italiano, si è inceppata per più di 7 anni. La forza della verità invece, persevera nella sua battaglia per restituire dignità ad un giovane che ancora non può riposare. Per Ilaria Cucchi, questo conflitto tra verità e giustizia è iniziato nel peggiore dei modi perché “siamo partiti da un processo al morto”.

La sentenza della Cassazione annulla l’assoluzione, ma arriva un giorno prima della prescrizione. Per te, un passo in che direzione?
Quello che mi dà una speranza è che adesso abbiamo la giustizia al nostro fianco, o meglio, ora ci sono persone che si battono per avere giustizia anche per gli ultimi. Perché mio fratello era un ultimo. È morto anche di giustizia: è stato per circa un’ora in un’aula di un tribunale davanti a un giudice e ad un pubblico ministero che non sono stati capaci di guardare oltre il pregiudizio nei confronti di Stefano. Ecco, oggi la giustizia ci sta dimostrando che può esistere, per tutti.
Io sono commossa ed emozionata di fronte all’impegno del procuratore generale Eugenio Rubolino che ci ha continuato a credere e non si è fermato neanche di fronte alla seconda assoluzione; sono commossa anche al pensiero di questo altro procuratore generale della Cassazione, Antonio Mura, che si è battuto per la verità.

Ci sarebbe la possibilità che i medici rinuncino alla prescrizione. È qualcosa che chiederesti loro?
Ho fatto una promessa a mio fratello quando l’ho visto martoriato su quel tavolo dell’obitorio: avrei ottenuto la verità e gli sarebbe stata restituita la dignità. In questa fase, questo sta avvenendo. Sia in base alla decisione della Cassazione sia, soprattutto, per il nuovo processo che sta per iniziare, nel quale finalmente si parla di violentissimo pestaggio. Una realtà che era chiara ed evidente agli occhi di tutti, ma che oggi finalmente entra dentro le aule di giustizia. La rinuncia della prescrizione, una pena a coloro che potrebbero essere ritenuti responsabili per la morte di mio fratello non mi restituirà mai Stefano. Quello che io pretendo però è che si parli della verità.

Il procuratore generale Antonio Mura ha detto “oggi c’è tempo per fare giustizia”. Come è stato possibile arrivare al giorno prima della prescrizione per chiedere di fare giustizia?
Per troppi anni la verità è stata sacrificata. Per troppi anni periti e consulenti sono venuti nelle aule di giustizia a raccontarci che il catetere a Stefano era stato messo per comodità. A simulare una caduta con cui Stefano Cucchi si sarebbe procurato tutte quelle lesioni in varie parti del corpo. Io mi pongo un problema di fronte a tutto ciò: situazioni del genere sono devastanti per una famiglia che tutto sommato il più delle volte non ha neanche gli strumenti per affrontarle. Ma che si mette in gioco in prima linea decidendo di sacrificare tutto, la propria vita, il proprio dolore. Decidendo addirittura di non vivere, di non elaborare quel lutto. Il problema è deve fare tutto questo per assumersi il ruolo che sarebbe dello Stato, che invece di fatto li abbandona.
Quello che mi auguro è che i giudici, nei quali io ripongo piena fiducia, imparino a non fidarsi ciecamente dei medici legali, ma sappiano guardare dentro alle varie vicende e situazioni.

C’è un’altra conquista ottenuta grazie al vostro coraggio. La fondazione della Stefano Cucchi Onlus e soprattutto la quantità di adesioni, di che cosa è indice?
È una vittoria di tutti. Il fatto che le persone mi fermino per strada per dirmi: “Grazie. Vai avanti. Grazie”, la dice lunga e mi commuove. Le adesioni alla nostra associazione, che si batte per l’introduzione di una legge giusta sul reato di tortura, sono state tante e di persone normali: c’erano famiglie con i bambini nel passeggino in prima fila alla presentazione. Le persone comuni, mi sembra, si rivedono nella nostra situazione attraverso quei piccoli soprusi subiti ogni giorno. Il segnale che mi piacerebbe passasse in questo momento è un segnale di speranza: vale la pena crederci. Andando a testa alta, avendo al fianco la forza della verità.


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