Erdogan spacca la Turchia e si incorona sultano

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I risultati definitivi non saranno diffusi prima di 11 giorni, ma Recep Tayyip Erdogan ha vinto il referendum costituzionale con il 51,4% di sì. Dopo aver incassato l’esito favorevole, seppure di misura e tra forti contestazioni di irregolarità, nella consultazione sulla riforma che gli assegna poteri assoluti con un presidenzialismo senza più limiti, il presidente turco ha promesso che il prossimo passo sarà discutere con gli altri leader politici del Paese la reintroduzione della pena di morte in Turchia.
Insomma, il ‘sultano’ non sembra preoccupato del risultato elettorale non brillante e dell’annuncio dell’opposizione del ricorso su almeno il 40% delle schede, molte delle quali valicate pur senza timbro ufficiale. Né dell’evidente spaccatura dell’elettorato e del Paese. La metà dei turchi non si riconosce in lui. Eppure la cosa non lo scompone. Anzi.
Incurante delle critiche pressoché unanimi nei confronti della riforma, all’interno come all’esterno dei confini della Turchia per quella che è apparsa da subito come una deriva democratica, ora che è stata legittimata dal voto popolare non ammetterà alcuna nuova interferenza o contestazione.
Approvate con 339 voti favorevoli dal Parlamento il 21 gennaio scorso, le modifiche costituzionali avvallate dal referendum prevedono la trasformazione dell’attuale Repubblica parlamentare in presidenziale, con l’abolizione della carica di primo ministro, i cui poteri verranno attribuiti al capo dello Stato che assumerà anche quelli riservati al Consiglio dei ministri e avrà la facoltà di emettere decreti su diritti personali e libertà fondamentali.
Allo stesso tempo il presidente potrà nominare i suoi vice e i ministri, proclamare lo stato d’emergenza e sottoporlo all’esame dell’Assemblea legislativa, nonché nominare alti funzionari pubblici. Inoltre potrà convocare le elezioni senza avere il consenso del Parlamento.
Ridimensionato il ruolo di controllo dell’assemblea parlamententare su governo e presidente, l’attività viene limitata alla possibilità di richiedere informazioni, indire riunioni per discutere delle azioni dell’esecutivo e del capo dello Stato, sollecitare delle risposte da parte dei singoli ministri su temi specifici con domande poste per iscritto.
Viene inoltre abolita la mozione di sfiducia del Parlamento nei confronti di presidente ed esecutivo.
Tra i nuovi prerequisiti richiesti ai candidati alla carica di presidente della Repubblica un’età minima di 40 anni, una laurea e ovviamente tutte le prerogative per poter essere eletto in Parlamento.
La riforma prevede, anche, la regolamentazione relativa allo stato di emergenza, norma che vige initerrottamente dallo scorso 22 luglio, ovvero una settimana dopo il fallito golpe.
Il Parlamento avrà tre mesi per approvare lo stato di emergenza, nell’ambito sarà possibile prevedere la ‘leva di massa’.
Il presidente della repubblica potrà anche proporre la sospensione o la limitazione di diritti civili e libertà individuali. Prevista, infine, l’eliminazione delle corti e deii giudici militari, con il numero dei membri della Corte costituzionale che, di conseguenza, si riduce a 15.
Dopo le purghe, gli arresti di massa, il bavaglio all’informazione e alla libertà di espressione e di pensiero in ogni sua forma, la situazione in Turchia è così destinata a peggiorare. Senza più limiti.


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