Keith Haring. Una mostra a Milano fino al 18 giugno

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Keith Haring (1958- 1990),  l’artista noto per i suoi omini e i suoi infanti luminosi. Dal 21 febbraio e fino al 18 giugno Palazzo Reale di Milano gli dedica una retrospettiva con oltre 100 opere, alcune di grande formato, a cura di Gianni Mercurio e dal titolo “Keith Haring. About Art”.  Haring apparentemente sembra l’antitesi dell’altro protagonista newyorchese degli anni ’80, Jean-Michel Basquiat  con la sua  l’ossessione del teschio, quasi presago della sua prematura scomparsa. Erano gli anni di Reagan o della Milano da bere, quelli dei giovani determinati a conseguire, con ogni mezzo, il successo.
Haring e Basquiat rappresentavano la trasgressione. Nell’ambito del costume: non tanto per la loro omosessualità quanto per aver rivendicato che non c’è limite al piacere. Un delirio di onnipotenza tragicamente interrotto dall’esplodere dell’AIDS. Ne furono vittime, tra le prime vittime in assoluto, entrambi: Basquiat a 28 anni; Haring a 31.

Entrambi iniziarono dalla street art: in modo educato Haring che disegnava sugli spazi pubblicitari lasciati vuoti nella metrò; in modo sconveniente  e dappertutto  Basquiat. D’altra parte fu per questo notato da Andy Warhol, di cui proprio oggi ricorre il trentesimo anniversario della morte, che lo ingaggiò nella sua leggendaria Factory. Le analogie non finiscono qui: artisti apparentemente naif in realtà frequentavano musei e conoscevano, qualche volta citavano, le opere dei grandi artisti. Picasso per Basquiat; Michelangelo per Haring.

Ritornando all’icona più celebre di Haring: l’omino luminoso. Ispira simpatia, ma accanto a questo c’è anche l’omino con un buco nella pancia quale riferimento, lo dichiara lo stesso artista, all’assassinio di John Lennon. Poi corpi aggrovigliati, citazione della battaglia dei centauri di Michelangelo; strane coppie avvinghiate che non possono sciogliere, pur desiderandolo, il loro legame; corpi informi come amebe, sul procinto di precipitare nel vuoto.

Tutti motivi che sono ricapitolati sul murale “Tuttomondo” che nel 1889, un anno prima di morire,  Haring dipinse sulla fiancata della canonica della chiesa di Sant’Antonio Abate,  a Pisa. Dove peraltro la figura materna che culla il suo bambino e il cuoricino rosso sono un segno di speranza.


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