Referendum: un no giovane

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Nella consueta, e ormai scontata “accozzaglia” di commenti che segue ogni consultazione elettorale è mancata l’evidenziazione dell’unico dato che rende il risultato referendario genuinamente “rivoluzionario”: il comportamento per classe di età dell’elettorato. Gli elettori compresi nella fascia tra i 18 e i 34 anni si sono espressi con percentuali “bulgare” (ben oltre l’ 80%), un risultato vicino al 70% ha caratterizzato il voto nella fascia tra i 35 e i 54 anni di età, mentre tra i “vecchi” è prevalso il “si”, riequilibrando il “risultato” e consentendo di chiudere la partita “solo” al 40 e 60%.
È beffardo che il premier “giovane”, un quarantenne che è subentrato a tanti vecchi parrucconi, che ha fondato la sua “presa del potere” sulla (presunta) rottamazione, sia stato così sonoramente bocciato proprio dalla parte più giovane della popolazione.

Questi comportamenti evidenziano un altro dato e cioè che tale risultato non può essere “vantato” da nessuna parte politica; atteso che a sostenere il no sono stati spezzoni in disarmo di partiti che furono. Lo stesso movimento dei 5 Stelle dovrebbe attentamente valutare un elemento significativo: il risultato è stato determinato da chi non vota alle politiche (nemmeno per loro).

Il voto della popolazione attiva si è, quindi, caratterizzato per straordinaria lucidità e maturità: si è compreso che la “politica” è rimasta bloccata per più di due anni su una riforma costituzionale concepita male, scritta peggio e funzionale a consolidare il potere (che chiamano stabilità) di una nuova casta che si voleva sostituire a quella precedente, mentre i problemi reali, ed ormai drammatici, della nostra società si incancreniscono.

È caduto nell’indifferenza l’endorsement di tanti arcaici personaggi del passato come Scalfari, Prodi e un drappello di “intellettuali”, tra i quali Benigni, la cui vena creativa appare ormai sterile da tempo. Soprattutto si è ben compresa la “cifra” della legge di stabilità attualmente in approvazione: un provvedimento “elettoralistico” nel peggiore stile del “pentapartito”, funzionale a vincere la competizione referendaria, concepita tutta “in debito” e che lascerà un pesante conto che dovrà essere presto saldato da tutti i cittadini, soprattutto dai più deboli.

L’elettorato, soprattutto giovanile, ha lanciato un segnale preciso: non intende più essere preso in giro, non si fa abbagliare da un falso “giovanilismo” senza sostanza; non interessano i bonus, le mance, le promesse, improbabili, di ponti sullo stretto, lo sperpero di risorse per favorire “gli amici degli amici”, né è più disponibile a subire odiosi “ricatti” da coloro che, per comodità di sintesi, sono definiti i “poteri forti”. Quello che ci aspetta è una politica economica capace di dare sicurezza, prospettiva, futuro, ma su questo versante i segnali sono, semplicemente, non pervenuti. Incapacità o semplicemente la volontà di conservare lo status quo a difesa di poteri consolidati? Una domanda, tutto sommato, poco interessante, quello che conta è che il segnale che proviene da questa consultazione referendaria è “da ultima spiaggia”.

O la politica cambia e si rigenera partendo dall’Etica, costruendo un nuovo scenario di azione politica autonoma, smettendo di essere figuranti della finanza, che è separata dall’economia reale, ovvero sarà spazzata via senza rimpianti per nessuno se non per chi comodamente vi bivacca: insomma un’operazione socialmente utile.
Certo è che le reazioni a cui si assiste non inducono a grande ottimismo. Dal dibattito emergono solo rancori, recriminazioni e desideri di rivalsa, ancora una volta il problema è la necessità di garantire la stabilità, licenziare una legge di stabilità “disastrosa” (nessuno ha avuto la lucidità e l’onestà intellettuale di dire che andrebbe modificata), riformare sistema elettorale nel senso di favorire la riuscita di chi lo propone; per il cambiamento reale “c’è tempo”!

Il mantra di oggi, rivolto al fronte del “no”, è quello minaccioso “avete vinto ora tocca a voi”, ma è così difficile comprendere che il cosiddetto “fronte del no”, sempre che esista, non era una proposta di governo ma semplicemente il convergere, ragionevole, di “diversi”, molto “diversi”, per contrastare una proposta di riforma costituzionale di cui tutto si può dire tranne che fosse una cosa “seria”?

Tutto incredibile e patetico. Insomma una sorta di “cupio solvendi”, miope ed autolesionistico che non porterà alle riforme ma semplicemente all’isolamento, si spera sino all’estinzione, di una classe politica vecchia e superata a prescindere “dall’anagrafe”.


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