Spot di Zalone sulla Sma, “non servono lacrime per suscitare empatia”

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Intervista a Paolo Iabichino, esperto in comunicazione sociale: “Non è più tempo di drammatizzare i temi. Straordinaria la campagna per la Sma, con Zalone che non si snatura e per la prima volta presta il proprio volto. La donazione si basa su empatia, che si può suscitare con un sorriso. Ma non di tutto si può ridere”

ROMA – Semplicemente, “un’idea straordinaria: perché sdrammatizza un problema e suscita la partecipazione attraverso l’empatia che viene da un sorriso”: e così lo spot di Checco Zalone sulla Sma ha decisamente “fatto centro”: Lo afferma con sicurezza Paolo Iabichino, creativo ed esperto in campagne di comunicazione sociale e autore di studi e pubblicazione sul tema. Convinto che “solidarietà e donazioni si possano sollecitare non solo attraverso le lacrime, ma anche attraverso la comicità”. E lo spot di Famiglie Sma ci è decisamente riuscito. Prima di tutto, “perché è il primo spot in assoluto di Checco Zalone, che non ha mai prestato il proprio volto a spot commerciali, diversamente da tanti che diventato testimonial di campagne sociali dopo aver pubblicizzato un profumo o un caffè”.

Ma si può ridere di un problema serio come la malattia o disabilità?
Si può e, in un certo senso, si dovrebbe fare, anche pensando al target delle campagne. Ai giovani, per esempio, non si può continuare a parlare dei problemi drammatizzandolo. Penso alle campagne per la guida sicura, che insistono nel mostrare corpi stesi e lamiere accartocciate. Credo siano inefficaci per i giovani, che si sentono infallibili supereroi. Molto più efficaci sono le pubblicità di alcuni alcolici e superalcolici, che affrontano a volte lo stesso tema, alleggerendolo. Ma ci sono tanti altri esempi positivi: penso all’Ice bucket challenge, che non ha mostrato la drammaticità della malattia di cui parlava, ma è diventata virale e ha avuto un successo straordinario. Ma penso anche alla più recente Amatriciana solidale, che non ha celebrato la liturgia pietistica e solidaristica, ma ha teatralizzato l’icona delle zone colpite. Ci sono campagne che riescono a diventare virali proprio grazie al registro leggero che utilizzano

Non c’è però il rischio che non siano altrettanto efficaci? La donazione non è favorita da una lacrima , più che da un sorriso?
No, non credo che sia così. Non c’è un registro che funzioni meglio o peggio, ma l’efficacia dipende dalla sensibilità verso il tema, la credibilità del personaggio e la capacità creativa dell’autore. La donazione parte da un impulso; e l’impulso lavora sul sentimento, che ha a che fare con l’empatia. L’empatia si basa tanto sulla lacrima quanto sul sorriso. Come creativo, sarei contento di vedere in circolazione più messaggi sorridenti, perché credo ce ne sia un gran bisogno.

L’ironia si presta a tutti i temi? Pensiamo alle campagne sull’Africa, che parlano di guerre, o di povertà. Anche lì potremmo aspettarci messaggio più sorridenti?
No, questo non lo credo. Penso ci siano temi in cui questo tipo di registro non è percorribile: sono quelli su cui c’è poco da scherzare, come la guerra, la violenza su minori, l’emergenza profughi. Temi maledettamente seri, su cui comunque si può provare a non teatralizzare il dramma. Sono temi che possono essere sicuramente comunicati con più leggerezza, ma su cui ridere non è proprio possibile. Sono sicuro che ora, dopo Checco Zalone, tanti proveranno a far ridere sul sociale. E rischieranno di farlo goffamente

Come ha fatto il ministero della Salute, con la campagna per il Fertility Day?
Più che goffo, è stato imbarazzante. La prima uscita ha cercato di utilizzare un registro leggero, forse perfino comico. Ma è stato come quando ci spiegano le barzellette ridendo. Ciò che maggiormente preoccupa noi addetti lavori di fronte a una simile campagna istituzionale, però, non è tanto la campagna in sé, che si può anche sbagliare, quanto piuttosto la totale incapacità delle istituzioni di leggere il momento e mettersi in contatto con la comunità, per sentirne il polso. (cl)

Da redattoresociale


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