A proposito del popolo sovrano

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“Sul referendum la sovranità è degli elettori”, titolo del Corriere, frase del Presidente della Repubblica. Non era poi così difficile ricordare all’ambasciatore Phillips che l’Italia è un paese sovrano e che solo i cittadini italiani decidono sulla costituzione. Ma Renzi ha taciuto. Perché Phillips è un suo amico, anzi un vicino di casa: “sono sempre quei 20 chilometri (tra Borgo Finocchietto e Rignano) ha notato Bersani. Ma soprattutto perché Renzi si sente (e così vuole essere percepito) alfiere di un confronto globale della politica e della ragione contro l’antipolitica e l’avventura. Renzi come Merkel, Hollande, Clinton e Cameron. Delirio di onnipotenza? In parte, in qualche momento torna alla memoria Berlusconi, quando vantava il ruolo decisivo che avrebbe avuto nei vertici internazionali. Ma c’è anche altro. La “politica” (sia di destra che di sinistra) da tempo ha scelto di chinare la testa davanti alla volontà delle multinazionali, dei mercati e dei signori del web, di chi preme “invio” sul tablet e muove migliaia di miliardi. Beninteso i governanti dell’occidente non sono “servi”, e poi in qualche modo noi cittadini li abbiamo votati. No, finché sono lassù, ritengono che il mondo globalizzato abbia bisogno di loro, si considerano politici del “possibile”, provano a ridurre il danno, cercano di tamponare le falle che continuamente si aprono su questa nave-mondo che proiettata verso il pensiero unico, la trasformazione del cittadino in consumatore, la fine della storia si trova a disseminare la terra di danni collaterali, fame, guerre, esodi. Funziona? Non più. Cameron, allontanato dal potere per aver perso il Brexit (e non gli è servito l’appoggio di Obama) è stato appena posto sotto accusa dal parlamento britannico per la guerra contro Gheddafi. Merkel, che ieri non ha fatto mancare il suo sostegno al Sì referendario all’amico Matteo, passerà forse alla storia come colei che ha tradito l’Europa nell’interesse del capitalismo tedesco (basta pensare alla facilità con cui Bayer si è regalata Monsanto), per non dire di Hollande il perdente, o di una Clinton la cui ambizione e mancanza di empatia e solipsismo del potere rischiano di portare Trump alla Casa Bianca.

Votare No al referendum e alla leadership di Matteo Renzi è salutare, convoglia un istinto di sopravvivenza che se non è ancora alternativa politica rappresenta almeno la condizione per salvare la politica da una subalternità che la trasforma in casta, che la allontana dalle donne dagli uomini, dai ragazzi che cercano lavoro, che fanno la spesa, che si curano in un ospedale pubblico. Un No – direte – che intanto unisce Mineo a Brunetta, Raggi a Salvini, D’Alema alla Santanchè? È vero, è così. E meno male. Perché far politica vuol dire discutere anche con gli avversari, per poi dividersi ma sapendo su cosa, significa mettere in campo le proprie idee e vedere le carte degli altri. A questo dovrebbero servire democrazia, parlamento e partiti. Invece l’iter della riforma costituzionale Boschi-Renzi fin dall’inizio si è presentato come una bugia. Se si fosse proposta di affidare il voto di fiducia solo alla camera, di abolire in CNEL e ridurre il numero dei parlamentari, sarebbero bastate poche sedute e la maggioranza sarebbe stata molto ampia. Invece dall’inizio il testo, scritto dal governo, è stato usato come istrumentum regni, giocato in una trattativa coperta e parallela al dibattito che si svolgeva, prima tra Renzi e Berlusconi poi tra Boschi e Finocchiaro (e Calderoli, quando si pensava che il voto della lega potesse essere decisivo per l’elezione del presidente della Repubblica), tra Lotti e Verdini, infine tra Zanda e Chiti, per disarmare la minoranza del Pd. È stato, l’iter della riforma, il teatro di un atto di forza, di un colpo di stato permanente: epurazioni della commissione competente, poi voto di notte per tagliare dal dibattito persino la relatrice, il canguro che salta gli emendamenti, migliaia di voti sempre sotto ricatto. Ma intanto il testo cambiava, con aggiunte, frasi contorte che possono voler dire una cosa ma anche un’altra. Alla fine è stato partorito un mostriciattolo, che mantiene un senato debole indebolendo così tutto il parlamento, che toglie poteri alle regioni ma apparecchiando migliaia di (sicuri) ricorsi alla consulta, che viola il principio della sovranità popolare affidando la nomina dei senatori ai consigli regionali ma “in conformità” (?) con la volontà degli elettori. La sua vera ragion d’essere è nell’italicum, che modifica la forma parlamentare attribuendo al premier eletto poteri straordinari sia sulla sua maggioranza che sulla durata della legislatura. Bocciare questa “cosa”, bloccare questa deriva è un atto d’amore.

Stretta sulla sanità, tagli per 1,5 miliardi. Spunta tassa sul fumo. Repubblica si deve essere accorta che mancano i soldi per le promesse del governo (taglio delle tasse, raddoppio delle pensioni minime, bonus vari), ma forse anche per scongiurare le cosiddette clausole europee di salvaguardia e l’aumento dell’Iva. Ma invece di chiedere conto al governo delle sue previsioni sbagliate, dell’ottimismo mendace, dell’inefficacia dei tagli e degli sprechi elettoralistici, il giornale di Calabresi preferisce guardare al particolare, narrare lo scontro nella maggioranza, per grattare un miliardo e mezzo dal bilancio della Lorenzin.

Tetto di 240mila euro per la Rai, Senato unanime. Emendamento Calderoli, ripresentato tale e quale dal boy scout renziano Cociancich per evitare che le opposizioni se ne prendessero il merito. Tutti a favore, solo Endrizi, 5 Stelle, si è astenuto perché – come ha spiegato – il suo stomaco non sopportava che il governo scopiazzasse in quel modo il Movimento. Ora, in una economia di mercato e con una Rai che si finanzia in gran parte con la pubblicità, una tale norma dovrebbe considerarsi una cavolata. Se a Pogba tocca un ingaggio da 12 milioni l’anno, se l’ex Ad del Monte dei Paschi prende 3 milioni di liquidazione, se già Mediaset pagava un milione circa al bravo Mentana e se Santoro, per quanto denaro ricevesse, faceva guadagnare ancor più in termini di contratti pubblicitari, perché un professionista non dovrebbe chiede alla Rai almeno quanto gli offrono Fininvest, Sky o La 7? Diciamolo: i senatori, presentati come casta al cubo (ricordate Renzi? “Perdono tempo per non perdere la poltrona”) ieri hanno voluto vendicarsi su Campo Dall’Orto, Daria Bignardi e Monica Maggioni. E tu perché hai votato, senatore Mineo? Perché sono stato comunista. Perché ricordo gli anni in cui sembrava ragionevole che l’AD della Fiat non prendesse oltre venti volte più del più umile fra i dipendenti (240mila diviso 20 fa – 24 mila euro lordi l’anno, 130o in busta al mese). Perché penso che, con la riforma, la Rai sia stata svenduta e condannata a soccombere alla concorrenza privata: dunque tanto vale provare a ribaltare tutte le regole del mercato, puntare su una tale qualità del prodotto e su una così netta trasparenza delle scelte da attrarre i più bravi anche con stipendi più bassi.

Impossibile fermare i ricatti web, titola la Stampa. Antonio Scurati scrive: “Viviamo nel tempo dell’oscenità trionfante. Ciò che va perduto in questo tempo è la compassione, ciò che viene espulso da questo mondo è la pietà. L’esistenza che quotidianamente conduciamo nella casa di vetro della trasparenza mediatica è un’esistenza spietata. Violenza e sesso. Sesso e violenza. Entrambi i fondamentali antropologici della nostra «parte maledetta», se sottoposti ad analisi, dimostrano alla nostra triste scienza questa amara verità”. Leggete Scurati. Anch’io temo che il mondo d’oggi stia sostituendo all’esperienza della morte e ai fremiti dell’amore le foto (o i filmati) del cadavere, che strappa lacrime o provoca orrore, e le foto o i filmati di corpi – talvolta dei propri corpi – che fanno sesso, da condividere con una compagnia di “amici” sempre a portata di tablet o smartphone. Voglio riflettere con calma, prima di dire altro. Il caffè, cari lettori, sta diventando un impegno gravoso, tanto forte è il disorientamento generale che si riflette sulle pagine dei quotidiani e tanto più difficile diventa il mio tentativo di darne conto provando a cogliere un filo logico, cercando di resistere alle mode per mantenere un filo (sia pure sottile) di coerenza illuminista.

Aleppo e le ultime speranze. Paolo Mieli si è accorto che laggiù, in Siria, gli occidentali chiamiamo “alleati” quelli che in Europa e negli States denunciano come “terroristi”. Cita correttamente Domenico Quirico, che queste cose aveva scritto prima di lui, e naturalmente appoggia, Mieli, il tentativo Lavrov-Kerry di imporre una tregua ad Aleppo, aiutare i civili, per poi cambiare le regole di ingaggio e combattere insieme, americani e russi, contro Daesh. Ma può capitare al giornalista, come al filosofo e all’ideologo, di inseguire la storia senza mai raggiungerla. Proprio oggi International New York Times dà conto dello scontro tra Kerry (secondo il giornale, appoggiato “sostanzialmente” da Obama) e il Pentagono, le cui riserve sono state fatte proprie dal segretario alla difesa, Ashton B. Carter. I militari (e il complesso militare-industriale) non vogliono scambiare informazioni sulla guerra con i russi, di cooperare, coi russi. Non vogliono cooperare con il grande nemico ma preferiscono continuare a usare gli assassini di Al-Nusra e i loro ispiratori e finanziatori sauditi. Non ci starebbe bene, caro Mieli, una riflessione sull’imperialismo? Parola vecchia, lo so. Troviamone un’altra ma non ci fingiamo tutti uniti contro la barbarie islamica. È falso.


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