Scimmia

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Scimmia.
Tre anni fa, l’allora vice-presidente del Senato, Calderoli, usò questa parola (“sembra un orango”) per definire la ministra per l’integrazione del governo Letta, Cecile Kyenge. Tutto venne banalizzato a semplice battuta infelice e i leghisti si meravigliarono della mancanza di senso dell’umorismo di chiedeva dimissioni immediate.

Ma le parole di disprezzo razziale non punite con sanzioni di pubblica disapprovazione,  poi incubano razzismo sdoganato.
E l’insulto “scimmia” ritorna tre anni dopo. Ma cambia pagina nei giornali. Passa dalla cronaca parlamentare a quella giudiziaria, per l’assassinio del rifugiato nigeriano Emmanuel Chidi Namgi, massacrato a pugni e calci da un robusto ultrà di calcio e simpatizzante di estrema destra. Ora il giovanottone che ha apostrofato la moglie del nigeriano come “scimmia” non si capacita di ciò che è successo. Il non detto è ma come, se scimmia lo dice Calderoli è una battuta, se lo dico io alla moglie di un nero e lo ammazzo di botte perché reagisce è un reato?
Qualcuno spieghi agli ultrà cos’è il razzismo.
Qualcuno spieghi ai leghisti l’importanza delle parole.

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