La democrazia dell’Italicum

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A un anno di distanza dall’approvazione, e complice l’esito negativo delle recenti Amministrative, la legge elettorale che solo un anno fa veniva decantata dai renziani e dai turiferari al seguito come un emblema di democrazia, di risolutezza della politica e di capacità di reagire positivamente alle sollecitazioni provenienti dalla Consulta e dal Paese, è oggi considerata alla stregua di ciò che è sempre stata: una schifezza pasticciata, varata sull’onda di un’esaltazione collettiva quale quella che si produsse nel Partito Democratico in seguito al 40,8 per cento conseguito alle Europee del 2014.

Parliamoci chiaro: quel risultato è sempre stato bugiardo ed è bene ribadirlo, specie ora che questa tesi ha qualche possibilità di essere ascoltata anche da coloro che per un anno e mezzo hanno spacciato un esito elettorale drogato dalla concessione degli 80 euro, dalla fase di transizione in cui versava all’epoca il M5S e dalla crisi di una Forza Italia gravata dall’impossibilità di Berlusconi di spendersi a tempo pieno in campagna elettorale per un risultato definitivo, al punto di illudersi di poter cristallizzare e rendere perpetuo un contesto socio-politico del tutto anomalo e destinato a dissolversi nell’arco di un biennio.

Non solo: forte di quel risultato, peraltro conseguito anche grazie al voto di persone che già allora non avevano alcuna stima nei confronti di Renzi e delle modalità con le quali aveva conquistato il potere, il Partito Democratico ha pensato bene di inventarsi la favoletta in base alla quale i cittadini avessero votato per fantomatiche riforme sulle quali, ovviamente, nessuno si era mai pronunciato e che la maggior parte della nostra gente avversava, tanto da scendere in piazza e battersi con le associazioni ambientaliste contro lo Sblocca Italia, con la CGIL e la UIL contro il Jobs Act, con il mondo della scuola al gran completo contro la sedicente Buona scuola del ministro Giannini e, infine, con l’A.N.P.I. e decine di costituzionalisti contro una riforma della Costituzione che, più passano i giorni, più incontra dubbi, scetticismo e la diffusa convinzione che sia stata redatta come peggio non si sarebbe potuto.

Due anni di strappi, forzature, sostituzioni e umiliazioni dei dissidenti, voti di fiducia come se piovesse, arroganza dispensata a piene mani e noncuranza nei confronti di quanti, in buona fede e animati da una sincera passione e da un vero attaccamento alle sorti del partito, facevano notare la sofferenza presente su molti territori, la scissione silenziosa di migliaia di militanti disgustati dalle vicende politiche nazionali e, in alcuni casi, anche da quelle locali, l’insostenibilità dell’ingresso in maggioranza dei verdiniani, fino al capolavoro al contrario cui abbiamo assistito a Napoli, l’impossibilità di liquidare con qualche battuta il crescente tasso di astensionismo e il lento e progressivo scivolamento di categorie che un tempo costituivano lo zoccolo duro dell’elettorato di centrosinistra verso il M5S, con la prospettiva che, senza un immediato cambio di rotta, dall’arrivederci si passi all’addio.

È la triste storia degli ultimi due anni: la storia di un partito che si è dimenticato delle proprie origini e delle proprie tradizioni culturali, la storia di un soggetto politico che ha deciso di accantonare le caratteristiche che un tempo distinguevano destra e sinistra per trasformarsi in una compagine indistinta, in un omnibus con all’interno tutto e il contrario di tutto, in una forza di governo incapace di ascoltare le istanze sociali, le richieste provenienti dalle piazze, dalle strade, dai quartieri, da quelle periferie che ovunque le hanno voltato le spalle indignate; è una tragedia umana e morale prima ancora che politica, una sconfitta collettiva dalla quale sarà difficile tornare indietro, anche perché non può esserci perdono per decisioni assunte consapevolmente e mai rinnegate da nessun dirigente del PD, i cui alfieri, al contrario, rivendicano con orgoglio le stesse decisioni che hanno alienato loro le simpatie e i voti di una miriade di persone che, in alcuni casi, votavano a sinistra fin dai tempi del PCI.

Non un ripensamento, non una parola di scuse, nemmeno una piccola retromarcia, un oceano di conformismo nel quale, purtroppo, annega ogni possibilità di ricostruire un rapporto politico con una formazione che, a nostro giudizio, rischia di esplodere in occasione del referendum costituzionale, quando il segretario-premier e i suoi faranno campagna per il SÌ con toni di cui gli eccessi delle scorse settimane sono stati solo l’antipasto mentre una parte della minoranza farà, implicitamente o esplicitamente, campagna per il NO, segnando un punto di non ritorno che nessun osservatore potrà ignorare.

Due anni spesi a litigare, a dividersi su tutto, a strepitare, fra minacce e contro-minacce, ultimatum e penultimatum, mentre la crisi economica non allentava la morsa, milioni di famiglie andavano a fondo e ora, a causa della tragedia che ha sconvolto la Puglia, ci siamo ricordati che anche le infrastrutture, specie nel Meridione, languono in condizioni di arretratezza e di abbandono indegne di un paese civile.
Due anni di lontananza dai problemi del paese, di dibattiti surreali su grandi opere, TAV e ponte sullo Stretto di Messina, salvo poi accorgerci che la barbarie ce l’abbiamo in casa, che l’Italia sta sprofondando a causa delle sue disuguaglianze, che siamo al cospetto di una nazione divisa in due e che ormai la vecchia divisione fra destra e sinistra è sempre meno attuale, sostituita dallo scontro totale fra chi ha e chi non ha, chi può e chi non può, il novantanove per cento costretto a viaggiare su treni vecchi e tratte con un solo binario e l’uno per cento che viaggia su comode vetture con l’aria condizionata e l’autista, fra chi ha troppo e chi ha sempre meno, fra chi si è arricchito a dismisura alle spalle degli altri e chi sta scivolando verso l’indigenza o vi è già scivolato e sfoga la propria rabbia contro tutto e tutti, sentendosi abbandonato, deluso e preso in giro.

E voi che avete approvato l’Italicum davvero credete che il problema di questo Paese sia la governabilità? Davvero credete di poter trasformare un tripolarismo di fatto, causato dai nostri errori e dai nostri cedimenti ai dogmi e alle dottrine del liberismo selvaggio, in un bipolarismo forzoso e costruito a tavolino? Davvero credete che abbia senso puntare sull’esclusione di una forza politica che, piaccia o meno, è riuscita nell’impresa di incanalare la furia dirompente che si respira in ogni angolo della Penisola in un contesto con mille difetti ma comunque rispettoso dei concetti basilari di una democrazia occidentale? E, infine, davvero credete che espropriare ulteriormente i cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti, continuando a imbottire le istituzioni di yesman, portaborse e personaggi che non godono nemmeno del sostegno del proprio condominio sia un buon modo per rispondere alla sete di partecipazione, attivismo e protagonismo sociale che si respira ovunque nel mondo?

Illudersi che in un mondo globale, nel mondo di Wikipedia (di cui ricorre il quindicesimo anniversario) e dell’intelligenza collettiva, nel mondo in cui anche autorevoli sostenitori del liberismo in declino cominciano a rinnegare la visione thatcheriana della società che cede il passo all’individualismo, nel mondo in cui viene rivalutata la figura di Mandela e della leadership diffusa, illudersi che in un mondo del genere si possa ancora puntare sull’allucinazione insensata dell’uomo solo al comando, sul leaderismo sfrenato e sulla restrizione degli spazi di democrazia e condivisione, significa semplicemente essere fuori dalla realtà.
Ed è bene che lo capiscano anche i 5 Stelle, ai quali va dato atto di essersi sempre battuti contro l’Italicum ma sui quali grava il legittimo sospetto di non essere poi così favorevoli a un suo smantellamento, visto che, per i suoi perversi meccanismi e per le singolari condizioni in cui si svolge il dibattito politico nel nostro Paese, indubbiamente questa formula li avvantaggia.

No ragazzi, non è così. Una vittoria con l’Italicum, chiunque dovesse conseguirla, sarebbe comunque una sconfitta per la democrazia. E aggiungo: se oggi il centrosinistra e il suo principale partito versano nelle condizioni in cui tutti vediamo, è proprio perché per quasi dieci anni hanno tacitamente accettato di votare con una legge elettorale poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta, della quale l’Italicum non è che la fotocopia peggiorativa. Se il centrosinistra è degenerato è perché, anziché parlamentari rappresentativi e dotati di una storia e di una tradizione politica solida e da far valere ai tavoli decisionali, ha cominciato a portare in Parlamento gente che risponde unicamente al proprio capobastone, la cui autonomia di pensiero è prossima allo zero, talvolta addirittura priva di un lavoro al quale tornare, dunque, di fatto, ricattabile dal punto di vista economico. È così che ci siamo progressivamente berlusconizzati, che siamo divenuti progressivamente conniventi, che ci siamo lasciati andare al peggior consociativismo, che abbiamo accettato senza colpo ferire ciò che mai avremmo dovuto accettare e che abbiamo voltato le spalle a quel popolo che nel 2013 le ha voltate a noi, desideroso di darci una lezione e di costringerci a modificare una strategia e un modo di far politica ormai palesemente insostenibili.

Ebbene, cari amici del M5S, sappiate che anche voi andreste incontro alla stessa sorte nel caso in cui doveste tirarvi fuori dalle trattative per cambiare, o anche per smantellare in blocco, come giustamente chiedete, una legge elettorale che distrugge il concetto stesso di rappresentanza e favorisce l’ingresso nelle istituzioni di meri portavoce di interessi che non sono certo quelli dei cittadini, con qualche inevitabile eccezione che verrebbe prontamente emarginata.
Se davvero volete avere un futuro, se davvero volete essere competitivi per la conquista del governo, dovete stare attenti a non inquinarvi, a non mettervi nelle condizioni di approfittare di un’ingiustizia perché, a quel punto, la tentazione sarebbe troppo forte e il rispetto per il pensiero critico, per il dissenso costruttivo e per la battaglia di idee verrebbe inesorabilmente meno.

Il punto è che una democrazia senza partiti solidi e strutturati, senza la capacità maieutica propugnata da Dossetti, senza una sana propensione a porre l’orecchio a terra e ad ascoltare ciò che si muove nel grembo della società, una democrazia svuotata e privata della sua linfa vitale non può che deperire.
Una democrazia in cui la rappresentanza viene sacrificata in nome di una fantomatica governabilità, noto totem dei tempi moderni che non significa nulla e ha prodotto solo disastri, fra cui un ricorso alle urne assai più frequente rispetto ai vituperati anni della Prima Repubblica, una democrazia in cui gli eletti sono avulsi dalle battaglie sociali, dalle passioni civili, dai sentimenti, dalle lotte per la dignità e dalla ricerca di un accordo fra posizioni diverse, una democrazia così non può essere considerata tale.

Ed è inutile girarci intorno: l’unico modo per garantire una vera governabilità è tornare al proporzionale puro, a un proficuo confronto fra chi ha più rappresentanti e chi ne ha meno, a una positiva dialettica parlamentare, a un potere limitato, controllato e ben bilanciato, ossia all’attuazione di quel progetto visionario che affonda le radici nella Resistenza al nazi-fascismo e guarda al futuro, precorrendo di oltre mezzo secolo gli anni che stiamo vivendo, fra il bisogno di una nuova socialità e quell’intelligenza collettiva che, anche grazie ai social network, è diventata una componente essenziale del nostro stare insieme.

Nella democrazia dell’Italicum prosperano solamente i cacicchi, coloro che non hanno alcun rispetto per la politica, che non ne comprendono la nobiltà e l’importanza, che considerano le istituzioni alla stregua di un ufficio di collocamento e rispondono unicamente alla logica privatistica e anti-sociale dei propri interessi, ignorando del tutto le esigenze della comunità.

Come sa qualunque studioso di scenari internazionali, oggi la democrazia o è inclusiva, partecipata e aperta a tutti oppure non solo non è tale ma comporta conseguenze tragiche, prima fra tutte l’isolamento collettivo di tante monadi in lotta fra loro e incapaci di trovare un “modus vivendi” in un contesto globale che non consente più l’antiquata suddivisione fra imperatore e sudditi.


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