Si dia voce alle “lotte” di Giuseppe Antoci

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Giuseppe Antoci è un uomo che fa il proprio dovere e, come accade a chi fa il proprio dovere con la schiena dritta e senza scendere a compromessi in questo Paese, purtroppo rischia la vita.
Drammaticamente nel 2016 dobbiamo registrare come le mafie, soprattutto – per quanto riguarda la Sicilia – in territori dove venivano considerate come “grezze” o “meno pericolose”, stanno alzando la testa, abituate ad avere solo “yes man” e non gente che le guarda in faccia e ha il coraggio di contrastarle. Mi riferisco alla provincia di Messina, appunto, considerata sempre come “babba”, alla stregua di Ragusa, dove un Magistrato poco tempo fa è stato addirittura seguito ed aggredito.
La Sicilia, come la Campania e la Calabria accomunate da un destino quanto mai attuale: chi cerca di fare il proprio dovere, lo fa con la voglia di dare il proprio contributo, ma a prezzi elevatissimi.
Così, mentre il Paese è diviso e critica (giustamente, sia ben chiaro) i professionisti dell’Antimafia, i professionisti della mafia stavano compiendo l’ennesima strage.

Ritengo che l’indignazione per questo drammatico episodio, insieme alla ovvia solidarietà a Giuseppe Antoci ed agli uomini della sua scorta, non debbano – passati questi giorni di sofferenza emotiva – lasciare spazio all’indifferenza ed all’oblio. Questo nostro Paese non può essere caratterizzato da “eroi, lapidi e commemorazioni”. Anzi, di eroi non ne abbiamo proprio bisogno!
Oggi come non mai è opportuno riprendere e dare voce alle “lotte” di Giuseppe Antoci, alle battaglie giudiziarie del giovane Magistrato ragusano e farlo facendo squadra: se si è soli, si è facili obiettivi, insieme potremo davvero far paura a chi vuole fermare il cambiamento. Perché accanto a chi spara, c’è sempre chi vuole che quel “qualcuno” spari. E quei mandanti, “colletti bianchi” o meno, non sono meno responsabili di chi gira le spalle, pensando “non mi riguarda”.


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