Riduzione del danno: da Rimini un monito contro il proibizionismo

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Rimini, aprile 2016. Il dirigente scolastico del liceo scientifico “Serpieri” chiede un controllo ai carabinieri, con l’ausilio dei cani antidroga. Risultato: uno studente fermato e denunciato per il possesso di una dose di hashish. Uno spinello. In seguito, il preside dichiarerà che non vi era alcuna necessità particolare, voleva solo “lanciare un segnale”.

Alla notizia, come ovvio, politica e opinione pubblica si dividono  in due fazioni. Proibizionisti e antiproibizionisti, con una larga maggioranza della prima posizione, almeno tra coloro che ci tengono a far conoscere la propria opinione. I temi stesi sul piano della discussione sono diversi. Legalizzazione, diritto alla privacy, sicurezza. Pochi però si preoccupano di sapere cosa ne pensino i diretti interessati, quelli che hanno subito la perquisizione.

Alcuni studenti del “Serpieri” e istituti limitrofi vorrebbero affrontare il tema in un’assemblea, ma il preside di cui sopra nega l’utilizzo dell’Aula Magna. Si giustificherà dicendo che il luogo in questione non si può mettere a disposizione da un giorno all’altro. Il fatto contingente però è che, volente o nolente, ha lanciato un altro segnale.

I ragazzi, per lo meno i pochi non demoralizzati né schiacciati dall’atto autoritario, si ritrovano fuori da scuola e ne parlano comunque. Sentono il bisogno di farlo perché nelle loro vite si deve ancora spegnere l’eco di un ricordo molto brutto. Non è passato neanche un anno dalla morte di un loro coetaneo, Lamberto Lucaccioni, il sedicenne stroncato da un’overdose di sostanze psicotrope mentre ballava al Cocoricò di Riccione.

Fuori dal liceo i professori, che fanno avanti e indietro dall’ingresso, hanno l’unica reazione di rallentare il passo vedendo degli studenti in assemblea su un marciapiede. Nessuno si ferma a chiedere o a partecipare. C’è un evidente distacco e non è solo nella percezione di ciò che sta accadendo. Nessun professore, nemmeno nei giorni successivi, ha contestato ne appoggiato il tipo di segnale lanciato dal dirigente o la risposta data dallo sparuto gruppo di studenti. Eppure quei ragazzi, seduti sull’asfalto, fanno discorsi da adulti. Non parlano di proibizionismo, dicono apertamente che fumare a scuola è sbagliato, sono più avanti. Parlano di “riduzione del danno”.

La riduzione del danno è una pratica nata per limitare il propagarsi di malattie infettive tra consumatori di sostanze illecite, ma oggi usata anche per le nuove sostanze sintetiche che rischi d’infezione non ne procurano. Si basa principalmente su due pratiche: a) la distribuzione di materiale sterile (come siringhe) e l’analisi delle droghe per identificare sostanze da taglio illegali; b) la promozione della prevenzione mediante il passaggio di informazioni attraverso i diretti interessati (peer education).

Naturalmente non si tratta solo di questo. Spiegata nei suoi minimi termini la pratica in questione può lasciare interdetti e, sicuramente, accende ulteriori contentestazioni dei cultori della “tolleranza zero”, ma si da il caso che la riduzione del danno sia uno dei quattro pilastri su cui si basano le politiche europee di contrasto alla droga. Per la precisione: lotta al narcotraffico, prevenzione, cura e riabilitazione, riduzione del danno.

È opinione di molti che una politica di riduzione del danno possa rappresentare la differenza tra la vita e la morte in diverse situazioni; sicuramente esiste una vasta documentazione che dimostra come a livello medico ed epidemiologico questo modello sia piuttosto efficace. Pragmaticamente stiamo comunque parlando di scegliere un atteggiamento o un metodo che consenta a chi fa uso di stupefacenti di chiedere aiuto: possibilità che a volte passa anche da scelte semplici, come quella di non mettere la pattuglia dei carabinieri vicino all’autoambulanza ed inibire così una richiesta di soccorso.

La tolleranza zero è una malintesa soluzione, perché parte dall’erroneo postulato che i problemi delle persone possano sparire semplicemente non tollerandoli. Un liceale con scarsa autostima, che cerca di alterare la percezione di se stesso con una qualsiasi sostanza, non avrà nessun vantaggio da un atto d’intolleranza degli adulti cui è affidata la sua crescita. Nel caso citato in quest’articolo, gli atti di intolleranza sono stati diversi, poiché bisogna aggiungere anche l’insofferenza verso lo sviluppo di uno spirito critico, primo strumento che dovrebbe garantire un’istruzione superiore.


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