Referendum. Radiografia di “La Repubblica”. Paginate in laude di Renzi. Ci si mette anche Scalfari. Il problema informazione che la sinistra sottovaluta

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Di Alessandro cardulli

Squillano le trombe, rullano i tamburi, entra la fanfara, sembra la vecchia “marcia reale” di ordinanza di casa Savoia. Invece è un inno a Renzi che torna vincitore dalla sfida referendaria, il toreador che torna vincitor. È una specie di tam tam che passa di tv in tv, di radio in radio, di quotidiano in quotidiano. Il campione in questa corsa è il quotidiano di Largo Fochetti, La Repubblica, sempre più incline all’elogio del renzismo rampante. Partiamo dalla prima pagina. Leggiamo l’apertura: “Referendum trivelle, niente quorum. Renzi: hanno vinto i lavoratori. L’affluenza si ferma al 32% Il premier: Dimostrazione che la demagogia non paga”. Subito sotto arriva “Il Punto”, l’editoriale di Stefano Folli. Titolo: “Fallita la spallata, no alla resa dei conti”. Pagina 2. Titolo: “Fallito il referendum. No quorum, vota solo il 32%. Renzi: sconfitti gli ipocriti. Qualcuno voleva la conta, ora le elezioni nel 2018”. In un sommario: “i promotori: Vinto comunque. In Basilicata oltre il 50%”. Ma ci si guarda bene dal dire quanti milioni sono i sì. Pagina 3: “Ora il premier prepara la battaglia di autunno. Quella è la sfida finale”. Passiamo a pagina 4. Parlano gli imprenditori. Titolo “il voto ha creato confusione, servono più certezze sul futuro”. Gli ambientalisti. Titolo “Ma grazie a noi c’è un dibattito. Renzi mantenga le promesse”. “Il partito delle trivelle – dice Rossella Muroni, presidente di Lega Ambiente in inizio di intervista – ha vinto con il trucco facendo leva sulla forte percentuale di astensione fisiologica, ma non ha convinto”. Forse il titolo poteva essere sul “trucco”. Ma non sia mai. C’è però un titolo ad una dichiarazione di un sindacalista, Cisl energia dell’ Emilia: “Che sospiro sulle piattaforme. I lavoratori erano stati umiliati”. Ancora. A pagina 5 c’è la pubblicità, si passa a pagina 6. “La minoranza dem ammette la sconfitta. Rivincita  al Congresso”. In un timido sommario “Quella di Renzi è una vittoria di Pirro, i 14 milioni di votanti una ‘base’ per  lanciare Speranza” (alla segreteria del Pd ndr). Già, in nessun titolo compare il numero di coloro che hanno votato sì, poco meno di 14 milioni. Si danno, quando va bene, solo percentuali. È questo un “vezzo” delle televisioni in particolare. Dovresti fare subito i conti. Ma andiamo avanti.

Solo dopo sei pagine “renziane” si dà la parola a chi ha promosso il referendum

Solo a pagina  7 troviamo un’intervista ad uno dei protagonisti della battaglia per il “si”, Michele Emiliano, presidente della Puglia, che “non pensa di aver perso. Più voti del Pd alle  Europee”. Titolo “un popolo si è ribellato. Da oggi il premier farà i conti con me”. Un clamoroso falso. Leggiamo. Dice Emiliano: “Questo è solo l’inizio. Oggi Matteo Renzi sa con chi deve fare i conti”. Chiede lo scriba: “Con Michele Emiliano?” Risposta: “Deve farli con questo popolo meraviglioso che non si è arreso. Io sono solo il presidente di Regione che ha semplicemente obbedito al suo programma e al voto unanime del Consiglio regionale”. E lo scriba che fa? Non gliene frega niente  di quello che dice Emiliano.

Folli: non è un trionfo di Renzi ma una sconfitta dei suoi nemici. Se non è zuppa è pan bagnato

Tralasciamo l’editoriale di Folli, l’elogio di Renzi Matteo che è risultato “vincitore” rispetto “a chi ha tentato di trasformare il referendum in una clava con cui colpire il presidente del Consiglio”. Parla di “fallimento del referendum” di “ambientalismo astruso e ambiguo”. Poi, quasi ad addolcire la pillola scrive: “Sarebbe un grave errore ritenere che il fallimento del quesito anti-trivelle sia un trionfo di Renzi e dei suoi collaboratori. È più semplicemente una sconfitta dei nemici del premier che hanno scelto l’occasione sbagliata per tentare una offensiva peraltro poco convinta”. Se non è zuppa è pan bagnato.

Da questa “radiografia” che prendiamo ad esempio in negativo si riesce a capire il senso dell’editoriale domenicale di Eugenio Scalfari, che per  generazioni di giornalisti è stato un “maestro”. “Cominciamo dunque dal referendum in generale e in particolare delle trivelle: votare o astenersi? Qualcuno fa presente che la Costituzione vieta di fare propaganda per l’astensione (non vieta l’astensione) e non vieta di dichiarare alle singole persone di essersi astenuto così come non vieta di rivelare il proprio voto alle elezioni amministrative e politiche. Quel precetto costituzionale (cui non è seguita alcuna legge applicativa) è dunque praticamente inesistente”. Ti lascia di stucco. Intanto quel “qualcuno” sarebbe interessante conoscere a chi è riferito. Ma sorvoliamo, Scalfari non può non sapere che emeriti giuristi, costituzionalisti, fra costoro Michele Ainis, collaboratore, se non andiamo errati, del Corriere della Sera e dell’Espresso, hanno indicato gli articoli di legge che prevedono severe pene per coloro che avendo incarichi pubblici ti inducono ad astenerti dal voto anche quando riguarda i referendum. Non solo. Quando afferma che  al precetto costituzionale non è seguita alcuna legge ci sembra un po’ confuso. La Costituzione è la “massima legge dello Stato”. Per quanto riguarda elezioni, referendum ci sono le leggi, passate al vaglio della Cassazione. Con articolo con tanto di numeri che riguardano le elezioni delle Camere, i referendum.

Scalfari divide l’Italia. Le fonti energetiche come un vestito di Arlecchino. A toppe

Più grave quando Scalfari afferma che “ci sono referendum abrogativi su fatti specifici che riguardano soltanto abitanti di alcune zone del Paese mentre non interessano affatto a chi vive su territori diversi. Quello delle trivelle per esempio non riguarda chi vive in terre lontane dal mare e quindi del tutto disinteressate all’esito referendario. Non riguarda per esempio Piemonte e Lombardia. E neppure gli abitanti dell’intera costa tirrenica visto che i giacimenti petroliferi sono stati individuati soltanto nella costa adriatica e ionica”. Ma davvero Scalfari crede questo? Rimaniamo basiti. Le  fonti energetiche sono come un vestito di Arlecchino. Quel problema delle trivelle  riguarda una cosetta da nulla: se le concessioni  che lo Stato concede hanno una scadenza oppure no.  Se lo Stato  ti concede di trivellare per venti anni non puoi continuare a trivellare finché il giacimento non si esaurisce. Non avviene per nessun’altra concessione. Scalfari dovrebbe saperlo. Non solo. Come affermano eminenti ricercatori del Cnr quel referendum non  riguardava una piccola cosa, qualche foro in mezzo al mare in zone del Mezzogiorno, in particolare. Poneva un problema generale: quello della scelta sulle politiche energetiche. Si  richiedeva  al governo un segnale preciso in questa direzione. Ne va della credibilità del nostro Paese che si appresta a firmare all’assemblea dell’Onu il documento redatto a Parigi sulla difesa dell’ambiente, del clima. Renzi ci sarà, ma al referendum ha fatto propaganda perché i cittadini  disertassero le urne. Il gioco gli è riuscito ma solo in parte.

Contano, eccome, quei 14 milioni di cittadini che hanno votato “sì” ignorati dai media

Non può cantar vittoria perché quei  14 milioni di cittadini che hanno votato per il sì non gettano le armi,  ce ne hanno molte che riguardano l’economia, l’ambiente, piani energetici, risanamento del suolo, le grandi aree urbane tanto per indicarne alcune. Quel 32% che è andato a votare rappresenta più della metà di coloro che, di questi tempi, frequentano le urne. C’è anche da fare una riflessione su come le forze politiche e sociali, le Regioni che si sono impegnate nel referendum, hanno portato avanti le iniziative necessarie a fronte di un referendum che già in partenza mostrava molte difficoltà, talune forse insormontabili, per raggiungere il quorum. Ci sarebbe voluto il tempo necessario a sviluppare una campagna elettorale all’altezza dell’obiettivo e non, di fatto, qualche settimana, così come un solo  giorno di votazione è stato come un nodo scorsoio. Già, proprio la radiografia di Repubblica ci dice che c’è un problema, grande come un macigno, che riguarda l’informazione. Vorranno dire qualcosa o no le manovre che hanno portato all’accorpamento Repubblica-Stampa, il tentativo di Cairo di diventare il socio di maggioranza del gruppo Corriere della Sera? O quello che sta accadendo alla Rai sempre più in moto verso la militarizzazione? Francamente non pare che a sinistra si porti molta attenzione ad un processo di trasformazione che riguarda grandi testate giornalistiche, il sistema radiotelevisivo, gli accordi e le spartizioni  dei grandi gruppi,  leggi Mediaset, che muovono le leve di ciò che ci offre la tecnologia, le grandi reti. Quasi un disinteresse che si rischia di pagare molto caro.

Da jobsnews


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