Rilanciamo l’appello di Rsf, un rappresentante speciale Onu per tutelare giornalisti che raccontano storie di chi non ha voce

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Nel giorno in cui Reporters sans frontières presentava il rapporto sulla condizione dei giornalisti, 110 uccisi nel 2015, il Tribunale di Istanbul ordinava la scarcerazione di due cronisti del settimanale di opposizione Nokta, sotto processo con l’accusa di “incitazione alla rivolta armata contro il governo turco”,  e per la quale rischiano fino a 20 anni di carcere.

Il direttore della rivista, Cevheri Guven , e il caporedattore, Murat Capan, sono comparsi oggi dinanzi al giudice per la prima udienza. I due erano stati arrestati lo scorso 3 novembre nell’ambito di un’inchiesta relativa a un numero di Nokta su cui era comparsa una foto del presidente Recep Tayyip Erdogan con la scritta “2 novembre: l’inizio della guerra civile in Turchia”.  Un riferimento al risultato delle elezioni del primo novembre, che hanno riconsegnato la maggioranza assoluta al partito Akp di Erdogan.
Tutte le copie della rivista furono ritirate perché configuravano, secondo i giudici, una “istigazione a commettere reati”.  Due mesi prima, un altro numero di Nokta era stato ritirato per “offesa al presidente” Erdogan.
Se la scarcerazione, seppure momentanea, dei colleghi turchi ci fa tirare un sospiro di sollievo, quanto emerge dal rapporto annuale pubblicato da Rsf rileva ancora una volta quanto sia difficile e rischioso, non solo in teatri di guerra, fare il giornalista oggi.

Per 67 su 110 vittime di quest’anno, la morte è avvenuta in circostanze legate allo svolgimento della professione.  A questo bilancio vanno aggiunti 27 giornalisti-cittadini e altri sette collaboratori di media, il che porta a 787 il conteggio dei reporter morti durante il lavoro negli ultimi 10 anni.
Il dato più preoccupante rispetto al 2014, è quello relativo ai giornalisti morti non in zone di conflitto, il 64%, circa i due terzi delle vittime  del 2015.
Ma resta comunque la realtà degli inviasti di guerra quella più esposta, non essendo mai stato predisposto un meccanismo concreto per l’applicazione del diritto internazionale sulla protezione dei giornalisti che ormai sono esposti a una doppia minaccia, come ha evidenziato il segretario generale di Rsf,  Christophe Deloire: gruppi non statali che compiono impunemente estorsioni e violenze, ma anche Stati che non rispettano i loro obblighi verso la stampa.
Per questo Deloire ha chiesto che l’Onu designi un rappresentante speciale per la protezione dei giornalisti. E a fronte del rischio a cui sono esposti quei colleghi che svolgono un ruolo estremamente importante, sia nella copertura di notizie da realtà altrimenti oscurate sia nella tutela dei diritti umani, sarebbe auspicabile che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prendesse sul serio tale opzione.
Il lavoro di quanti garantiscono visibilità a chi denuncia le violazioni a danno delle minoranze o delle fasce deboli e fungono da cassa di risonanza per tutte le voci, anche quelle indigeste ai poteri forti, affinché possano essere ascoltate, deve essere tutelato.
Anche quando i giornalisti sono consapevoli di rischiare sulla propria pelle e nonostante questo non si tirano indietro.
Ho avuto la fortuna di conoscere colleghi che di fronte a situazioni di grande criticità e questioni off-limits non si sono arresi. Da loro ho imparato che bisogna avere la forza di denunciare le vessazioni e gli abusi che avvengono in ogni luogo perché lasciare che siano perpetrati impunemente e che rimangano nel silenzio è, come diceva Martin Luther King, una minaccia per la giustizia ovunque.

Alcuni di questi non ci sono più. Colleghi incrociati un paio di volte, come Gilles  Jacquier, fotoreporter di France 2 ucciso due anni fa in Siria. O che conoscevo bene come Tim Hetherington, con il quale condividevo la passione per il Darfur, massacrato da un colpo di mortaio a Misurata, in Libia, il 20 aprile del 2011.
E proprio pensando a storie e persone come Tim, alla sua intensa e incondizionata capacità di raccontare le violazioni dei diritti umani, ritengo fondamentale rilanciare e supportare la richiesta di Reporters sans frontières affinché giornalisti coraggiosi e appassionati possano continuare nell’opera di informare su storie che altrimenti non conosceremmo mai.


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