Fra crisi e guerra

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Draghi delude i mercati, scrive il Sole24Ore. Repubblica Corriere e Stampa fanno eco. Dunque Re-Mario ha perso il suo tocco? La BCE ha ridotto dello 0,1 i tassi, già negativi, sui depositi, ha prolungato l’acquisto dei titoli fino al marzo 2017 e ha promesso di comprare bond anche dalle regioni. Eppure l’euro si è rafforzato sul dollaro, la borsa di Milano ha ceduto il 2,47%, Parigi il 3,23, Francoforte il 3,25%. “Lo sconforto -scrive Massimo Riva per Repubblica- è il naturale e inevitabile contrappasso dell’illusione”. L’inflazione resta troppo bassa, la ripresa (in Germania e in Italia) troppo debole, la cura di Draghi, reiterata troppe volte, somiglia dunque a un “bazooka ad orologeria”, perciò meno efficace. Federico Fubini, Corriere, chiede al governo italiano di farsi sentire in Europa con quello tedesco. Non se ne esce senza ristrutturare i debiti, il tabù tedesco trasforma la “cura” Draghi in placebo.
“Facciamo una politica estera”. “Ma sì, bando agli scrupoli”. Gli incubi di Altan sono i miei incubi. Temo che la tanto lodata “prudenza” del governo italiano, le critiche a Hollande, il rifiuto di usare la parola “guerra”, celino un atteggiamento strumentale. L’idea che non ci possa essere gloria per l’Italia (e il premier) nell’appoggiare la guerra di Curdi, Sciiti, Alawiti contro il Daesh, mentre ce ne sarebbe se l’Italia guidasse una missione in Libia, con lo scopo dichiarato di mettere off limits le coste per profughi e migranti e quello, sostanziale, di proteggere gli interessi dell’Eni. Purtroppo se una possente azione diplomatica, prima dell’opzione militare, appare fondamentale in Siria, cento volte di più lo sarebbe in Libia. L’idea di soldati (anche italiani) impegnati a difendere le coste e i pozzi, dagli attacchi di tribu ribelli, contro un nemico cangiante, mi dà i brividi. E il vento che soffia non è rassicurante: “Droni, navi e uomini. I piani per la Libia”, La Stampa. In prima pagina.
Il periodo più doloroso per il Labour party. L’Economist ha definito così la fase che si è aperta dopo gli attentati di Parigi. Il nuovo leader, Jeremy Corbyn, popolarissimo tra i giovani e i militanti ma, meno -secondo i sondaggi- fra gli elettori, si è opposto a bombardamenti del suo paese in Siria, a fianco di Francesi, Russi e Americani. “Cameron vuole prima bombardare e poi usare mezzi diplomatici”, ha detto, evocando l’intervento infausto di Blair nella guerra d’Iraq. Al contrario, il ministro degli esteri ombra, Hilary Benn, ha sostenuto le ragioni della solidarietà con i “fratelli socialisti francesi”, perché i militanti del Daesh sono “fascisti” e come i fascisti vanno combattuti in armi. Repubblica, Corriere, Stampa plaudono e presentano Benn come l’anti Corbyn. Saranno pure per il Labour “le due settimane più autodistruttive da decenni” ma io invidio il dibattito che la scelta di Corbyn ha innescato. Tra i laburisti su sta discutendo della pace (e della guerra) senza le ipocrisie, la lingua di pezza, la ricerca prima di tutto del consenso che vedo da noi. Benn ha difeso Corbyn da Cameron che lo accusava di essere debole con i terroristi, Corbyn ha detto no ad avventure neo imperialiste e ha chiesto al governo che politica abbia davvero per il Medio Oriente.
Il Front National accresce la sua influenza nelle regioni, Le Monde. A poche ore dal voto, il partito di Marion e Marine Le Pen sarebbe in testa nelle regioni di Marsiglia, Lilla, Strasburgo, Digione, Orleans, Tolosa. Non le prenderà tutte, quelle regioni, perchè il doppio turno permette a chi non si fida dell’estrema destra di votare il meno peggio, ma la geografia politica della Francia è profondamente cambiata. Perché in un’Europa neo liberista e a trazione tedesca, il nazionalismo xenofobo dei Le Pen appare la sola difesa del reddito e degli interessi di operai e impiegati. Tant’è che il 45,6% degli operai e il 40,8% degli impiegati dice voterebbe per il Front. La sinistra, com’è in Europa, mi sembra il problema, non la soluzione.

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