Di fronte a quelle bombe l’Europa apra gli occhi

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Flavio Lotti: “Non possiamo usare due pesi e due misure nei diritti umani. Il presidente turco Erdogan ha da sempre usato il pugno di ferro con le minoranze turche”.

Articolo di: Stefano Pasta – famigliacristiana.it

È «infastidito da certi titoli ad effetto» Flavio Lotti, il coordinatore nazionale della Tavola della Pace e organizzatore della Marcia Perugia-Assisi. «Il sangue – dice – facilita l’evocazione di sentimenti forti, ma il sangue di Istanbul dovrebbe spingere alla riflessione razionale, abbandonando l’ipocrisia di politiche che guardano ai dittatori e ai diritti umani con due pesi e due misure a seconda dei nostri interessi».

Degli attentati è chiaro il bersaglio: come per le trenta vittime di luglio a Diyabarkir, manifestanti che chiedevano la pace nei territori abitati dai curdi.

Non enfatizzerei sui “pacifisti”, ma sull’ennesima strage di persone, i curdi, in lotta per il riconoscimento di diritti fondamentali che da decenni sono negati dalle autorità turche. Questo è il punto. I curdi, impegnati anche militarmente per raggiungere quei diritti, stanno cercando una soluzione politica alle loro giuste rivendicazione. È stata una scelta positiva, ma a qualcuno dà fastidio. La manifestazione di sabato era indetta da forze progressiste e pacifiche, l’Hpd in particolare, ovvero il partito curdo che alle ultime elezioni, superando la soglia di sbarramento del 10%, era entrato in Parlamento diventando il punto di riferimento per le minoranze democratiche e per i giovani che anche in queste ore sono in piazza. Ma la strage di Istanbul va inserita in un più ampio “gioco al massacro” in corso.

Perché?

In Medio Oriente, con la Siria al centro, si intrecciano interessi solo in parte legittimi. Prendiamo i curdi: sono stati l’avamposto occidentale contro l’Isis, dalla resistenza a Kobane alle armi, anche italiane, date ai peshmerga curdi in Iraq, finché ad un certo punto la Turchia, membro Nato e nostro alleato, ha lanciato una repressione nei suoi territori meridionali abitati dai curdi. Proprio i manifestanti di sabato chiedevano a Erdogan di fermare le stragi nelle province curde. Erano in corso da settimane, con numerosi morti, ma non avevano fatto notizia.

In Europa l’Akp di Erdogan era stato inizialmente visto con favore perché sembrava capace di garantire una maggiore integrazione nel sistema politico di masse conservatrici, rurali e religiose che la repubblica laica di Atatürk aveva  emarginato nel perseguimento di un disegno autoritario di accelerata modernizzazione ed europeizzazione. Si è trattato di un abbaglio?

Nella storia della Turchia Erdogan non è il primo ad applicare il pugno di ferro contro gli oppositori e le minoranze, ma negli ultimi anni c’è stata un’escalation d’intolleranza. Contro i curdi e, ad esempio, contro la libertà di stampa: qualche giorno fa il direttore del quotidiano Today’s Zaman è stato arrestato per un tweet. Le proteste contro Erdogan sono più che giuste, anzi dovremmo farle con più forza, ma è anche un esempio del giudizio con due pesi e due misure. Bando all’ipocrisia: in questo momento il nostro miglior alleato in Medio Oriente è il generale al-Sisi in Egitto, che ha preso il potere con un colpo di stato e che governa con gli stessi metodi autoritari del presidente turco. Questo atteggiamento occidentale fa parte del gioco al massacro: andare a braccetto con i dittatori e poi contestarli quando diventano troppo sgradevoli. Se vogliamo essere credibili, dobbiamo ribadire che i diritti umani sono universali. Invece la nostra indignazione non è universale: anche in queste ore, l’uccisione di un israeliano non vale quanto quella di dieci palestinesi. Quando ci sono dei movimenti che chiedono il riconoscimento di diritti fondamentali in modo pacifico, non vanno isolati. Vale per i turchi e i curdi che manifestano a Istanbul. Non facciamo lo stesso errore della Siria, quando l’opposizione pacifica ad Assad è stata lasciata sola con le conseguenze disastrose che vediamo ora.

L’affermazione del partito curdo Hdp alle elezioni dello scorso giugno sembrava un buon segnale per la Turchia. Anche questo sembra il bersaglio degli attentati di sabato.

Sì, la strage va inserita nella strategia del terrore lanciata da Erdogan contro i curdi. A novembre si vota nuovamente proprio perché a giugno l’Akp non ha avuto la maggioranza assoluta, ovvero quello che è stato un bel segnale democratico. Erdogan sta usando tutti gli strumenti di cui dispone per cercare di passarle indenne. Di fronte a ciò, noi europei cosa facciamo? Anni fa iniziammo le trattative per l’adesione della Turchia all’Ue, ma poi furono interrotte per l’islamofobia diffusa nelle cancellerie. Veramente crediamo che la Turchia debba stare fuori dall’Europa? Io credo di no. Nonostante il cammino sia complicato ed Erdogan abbia gravi responsabilità, l’Europa deve riprendere il dialogo con la Turchia con costanza e determinazione. L’alternativa è continuare con il “gioco al massacro” in Medio Oriente, di cui il dolore di sabato è solo una puntata.

Da perlapace


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