Messina Denaro e quella mafia trapanese che custodisce le “casseforti” di Cosa Nostra

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L’arresto di undici mafiosi che costituiscono i sottocapi del nutrito gruppo che collabora con Matteo Messina Denaro nel Trapanese e controlla i clan di Salemi e di Santa Ninfa è la prosecuzione delle operazioni condotte insieme dalla polizia e dai carabinieri Golem ed Eden e non avrebbe dovuto passare sotto silenzio, come invece di fatto è avvenuto in questa caldissima estate 2015.

Vale la pena fermarsi un momento su quello che è successo, teniamo presente – come sanno i cronisti che da molto tempo seguono le imprese del superlatitante Messina Denaro – che la mafia trapanese è quella che custodisce le “casseforti” di Cosa Nostra e conosce i canali giusti per trasferire nelle capitali europee gli ingenti capitali che l’organizzazione siciliana accumula e mette per così dire da parte per bisogni successivi. Del resto, la mafia trapanese, rispetto a quella palermitana e ad altre delle diverse province dell’isola, si distingue per lo scarsissimo numero dei “pentiti” (il più noto, negli anni scorsi, è stato Vincenzo Sinacori) e la sua speciale impenetrabilità.

C’è da chiedersi perché, proprio in questo momento, un latitante che, secondo opinioni molto diffuse in campo politico, come in quello costituito dagli apparati di vertice dello Stato, è stato sempre considerato come uno dei mafiosi più legati a circoli massonici è stato finalmente (almeno così sembra) vicino ad esser assicurato alla giustizia. Le ipotesi sulla lunga e tranquilla latitanza e ora sull’imminente cattura del boss sono essenzialmente tre. La prima è che il Paese abbia fatto alla fine un passo avanti e possa constatare un indubbio regresso di conventicole massonico-mafiose persino in una provincia per molti aspetti speciale quale è stata, nella sua lunga storia, quella di Trapani.

E questa – lasciatemelo dire – è l’ipotesi ottimistica ma poco realistica che fonti ufficiali fanno trapelare di fronte alla novità che si sta profilando. La seconda è che il mafioso al centro degli interrogativi abbia compiuto un errore che non doveva fare pestando i piedi a qualcuno proprio in quella provincia che finora lo ha protetto. Ma è la terza ipotesi, quella che preoccupa  di più gli studiosi di mafia, è quella che siano venute a mancare protezioni in alto loco, a Roma o addirittura al Nord e che i mafiosi abbiano compiuto imprese sgradite a chi decide, dall’alto del proprio potere reale.  Ma nessuno finora è riuscito a ipotizzare quali siano gli interessi toccati con forza dal piccolo impero di Matteo Messina Denaro.


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