La Cina svaluta ancora. Le incognite dei mercati sorpresi dalla scelta cinese

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Per il terzo giorno consecutivo, la Banca centrale della Cina riduce dell’1% il tasso di cambio dello yuan rispetto al dollaro, accentuando la svalutazione della moneta. Ne due giorni scorso, la riduzione del cambio era stata prossima al 2% martedì e dell’1,6% mercoledì. In tre giorni, il deprezzamento competitivo della moneta cinese ha toccato dunque quasi il 5%, una svalutazione mai toccata dal 2005 quando Pechino decise di introdurre lo yuan nel sistema dei cambi.

A differenza degli Stati Uniti e della eurozona, che lasciano fluttuano le valute sui mercati dei cambi, la Cina stabilisce amministrativamente ogni giorno il valore dello yuan, secondo un corso che prevede una variazione non superiore al 2%, sia nella fase di crescita sia nella fase di svalutazione. Per stabilire il corso della valuta, prima che delle sedute di Borsa, l’autorità cinese dei cambi deve seguire i grandi attori del mercato e l’evoluzione delle divise principali.

La svalutazione, massiccia, di questi giorni è stata largamente percepita dai mercati e dai leader globali come lo sforzo potente di Pechino di rinvigorire il suo commercio estero e di stimolare un’attività in pieno rallentamento. Insomma, si tratta di una svalutazione competitiva, che però può condurre ad una guerra delle valute, sia sul piano regionale (Corea del Sud, Australia, Taiwan, Vietnam), sia in Occidente. All’indebolimento dello yuan cinese, fa da contraltare infatti l’innalzamento del dollaro, con pesanti ripercussioni sulle esportazioni americane, e sul prezzo del barile di petrolio, in discesa. È il mercato delle materie prime ad aver risentito in modo massiccio della crisi della seconda potenza economica mondiale, e della necessità di svalutare competitivamente la sua moneta.

In realtà, lunedì 11 agosto, le autorità cinesi avevano parlato di una svalutazione a sorpresa “one-off”, una tantum, vicina al 2%. Oggi siamo a una svalutazione “three-off”, effettuata per ben tre volte, per un valore complessivo che si aggira sul 5%. Cosa ciò comporterà sul mercato mondiale delle merci è facile da prevedere: fuga di capitali fuori dalla Cina, aumento dei costi del debito americano verso le imprese cinesi, e svalutazione dei mercati interni sottoposti allo stress competitivo con le merci cinesi. Da una parte, dunque, in questo rovente ferragosto si apre una guerra finanziaria globale tra paesi asiatici che potrebbe lasciare morti e feriti, dall’altra si aprono nuovi rischi sui mercati europeo e americano per effetto di una svalutazione competitiva che proviene dalla Cina, i cui effetti sono ancora tutti da prevedere.

Da jobsnews


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