L’inferno dei profughi sulla rotta dei Balcani, tra pestaggi e respingimenti

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Rapporto di Amnesty international. Da gennaio del 2014 sono morte 150 persone. “Fuggono da guerre e persecuzioni facendo un viaggio della speranza per trovare sicurezza in Europa ma si trovano solo vittime di abusi e alla mercé di un sistema di asilo fallito”

 

MILANO – Non si muore solo attraversando il Mediterraneo. È fatale anche la via a piedi, lungo i Balcani occidentali: una strada che secondo l’Unhcr è stata intrapresa da oltre 35 mila migranti, in maggioranza da Siria, Afghanistan, Somalia ed Eritrea. I decessi accertati dal rapporto di Amnesty International “I confini dell’Europa: violazioni contro migranti e rifugiati in Macedonia, Serbia e Ungheria” sono 150: 123 le persone annegate, tra cui 17 bambini, nelle acque tra Turchia e Grecia dall’inizio del 2014, per una traversata di poche miglia che costa 100 euro a persona e ventiquattro persone sono morte mentre camminavano lungo la ferrovia. Il rapporto di Amnesty International, basato su 100 interviste ai profughi dei centri di accoglienza dei Paesi attraversati dalla rotta, evidenzia l’imperdonabile ritardo nella legislazione sull’asilo dell’area balcanica. Nel 2014 in Macedonia solo 10 persone hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato. Tra il 2008 e il 2014 in sei in Serbia (quattro nel 2015) a cui si sono aggiunte 12 richieste accordate di protezione sussidiaria. Eppure in Macedonia le richieste di asilo sono state 1.249: in otto casi su dieci il migrante non ha atteso nemmeno il verdetto. In Serbia la forbice è ancora più ampia: le richieste di asilo del 2014 sono state 16.490 ma i richiedenti ancora nel Paese sono 1.350.

I migranti non si fermano. Nonostante il bassissimo numero di forme di protezione accordate ai migranti, il numero dei transiti è molto alto. Nel 2014 sono stati 21 mila ad uscire dalla Grecia per entrare in Macedonia e addirittura oltre 60 mila a passare dalla Serbia all’Ungheria (+2.500% in cinque anni). Attraversare i confini lungo la rotta balcanica è impresa ardua, in particolare tra Grecia e Macedonia: alcuni intervistati raccontano di averci privato dieci volte prima di riuscire a farcela. Tra Serbia e Ungheria devono allungare una tangente di 100 euro ciascuno per superare i controlli. La meta finale del viaggio è meno definita che lungo la rotta “italiana”: vogliono rientrare in Europa, spesso in Ungheria, dove però rischiano di essere respinti in Grecia e ricominciare questo tragico gioco dell’oca dalla prima casella. “I profughi fuggono da guerre e persecuzioni facendo un viaggio della speranza lungo i Balcani per trovare sicurezza in Europa ma si trovano solo vittime di abusi e alla mercé di un sistema di asilo fallito – dichiara Gauri van Gulik, vice direttore di Amnesty International per Europa ed Asia Centrale -. Serbia e Macedonia hanno cominciato ad affondare dall’aumento fortissimo di migranti e profughi che nessuno in Europa pare voler accogliere”.

Detenzione o asilo? Che sia la “giungla” di Subotica, una baraccopoli dove vivono almeno 150 al confine con l’Ungheria, oppure il centro per richiedenti asilo di Vizbegovo (Macedonia), poco cambia: secondo Amnesty le condizioni di accoglienza nei Paesi balcanici sono molto simili a quelli di detenzione. A Gazi Baba, in Macedonia, ci sono 450-500 persone che dormono ogni notte: “Perfino sulle scale, vista la sovrappopolazione. Ci sono materassi in terra e nei corridoi”, racconta un rifugiato siriano ad Amnesty. Chi riesce nell’impresa di raggiungere il confine con l’Ungheria il più delle volte subisce pestaggi dalla polizia di frontiera, come riportano numerose fonti raccolte da Amnesty. Chi viene segnalato, per altro, finisce direttamente in prigione, senza il più delle volte la possibilità di chiedere asilo. Su 42.777 richieste d’asilo, una media di otto su dieci non arriva al termine o per carcerazioni illegittime o per fuga dei migranti. Un inferno via terra, invece che via mare. (lb)

Da Redattore sociale


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