Appello per salvare Peter Yein Reith e Michael Yat. Due pastori cristiano-evangelici che rischiano la pena di morte

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A un anno dalla vicenda di Meriam Ibrahim, cristiana all’ottavo mese di gravidanza e madre di un bambino di 20 mesi condannata a morte in Sudan per apostasia e poi liberata sull’onda di una mobilitazione internazionale, due pastori cristiano – evangelici rischiano la pena capitale per motivi religiosi. Articolo 21, da sempre impegnata ad illuminare temi e crisi dimenticate, ancora una volta rilancia e supporta un appello di Italians for Darfur, organizzazione che ha promosso in Italia la campagna di sensibilizzazione sulla crisi del Darfur e sui diritti umani violati in Sudan. Questa volta ad essere vittime di soprusi da parte del regime sudanese sono due reverendi accusati di blasfemia, spionaggio e attentato all’ordine pubblico.

Il primo a finire in carcere, l’11 gennaio 2015, Peter Yein Reith, pastore della Chiesa evangelica presbiteriana, arrestato mentre stava tornando a casa da una riunione di preghiera.
In precedenza, il 21 dicembre 2014, dopo il culto domenicale, gli stessi funzionari del Niss avevano arrestato un altro reverendo presbiteriano, Michael Yat, che si trovava a Khartoum con la famiglia per sottoporre i figli a controlli medici e per portare solidarietà alla congregazione, la Khartoum Bahri evangelical church, che aveva subito per due settimane le incursioni della polizia in base all’articolo 77 di una legge del 1991 sull’ordine pubblico. I raid avevano portato alla demolizione di una parte del complesso di edifici di cui è composta la chiesa evangelica, edificata su un terreno su cui, secondo il Morning Star News, avrebbero messo gli occhi investitori musulmani, e all’arresto di trentotto membri della congregazione stessa, liberati solo su cauzione.
Entrambi i pastori erano invece stati trattenuti e sono tuttora in custodia in un carcere di massima sicurezza a Khartoum, senza garanzia del rispetto dei propri diritti, come denunciato da Kate Allen, direttrice di Amnesty Internetional UK, che ha recentemente dichiarato: “più lungo sarà il loro tempo di reclusione, più alto è il rischio che subiscano torture”.

Italians for Darfur, che già lo scorso febbraio aveva denunciato l’escalation di persecuzioni nei confronti dei cristiani e segnalato i due casi, ha avviato una petizione per chiedere il rilascio dei due pastori.

L’appello è stato rilanciato nel corso della presentazione al Senato del libro di Antonella Napoli, “Il mio nome è Meriam”, giornalista e presidente di Italians for Darfur. Con l’autrice e attivista per i diritti umani, Gian Mario Gillio di Articolo 21, Marco Tarquinio, direttore di Avvenire e Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International.

Questo il link per firmare la petizione, presente anche sulle piattaforme di Change.org e Citizengo, con cui si chiede l’annullamento del procedimento giudiziario a carico dei due reverendi oltre che la loro liberazione. http://www.italianblogsfordarfur.it/petizione/

Le firme raccolte saranno inviate all’ambasciata del Sudan in Italia affinché possano giungere al presidente Omar Hassan al Bashir, l’unico che concedendo la Grazia ai due imputati, responsabili solo di voler difendere la propria fede e le loro congregazioni, possa impedirne la condanna a morte.


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