La scuola amara

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La scuola amara

La politica nel nostro amato Paese presenta, in certe occasioni, un doppio volto (anche per l’ovvio particolare in base al quale altri fattori intervengono nella nostra vicenda, come ad esempio, nei nostri giorni, l’ultima strage intervenuta ieri da parte di un commando dello Stato islamico che a Sousse, a 140 chilometri a sud di Tunisi dopo l’eccidio al Museo Bardo nella capitale, ha assaltato una spiaggia piena di turisti e ne ha uccisi trentotto) che si unisce alle riflessioni- in certi casi urgenti e necessarie-sulle scelte che l’attuale governo delle larghe intese che va dal manipolo del Nuovo centro destra di Angiolino Alfano alla sempre più divisa e fuggitiva minoranza del partito democratico che ha già perso Fassina e altri leader e rischia di restare l’ombra di sè stessa.

In questo caso per chi scrive (che ha trascorso la maggior parte del suo periodo di lavoro, al di là di quello passato nel suo studio a scrivere o a ripensare, nelle aule universitarie a insegnare la storia degli ultimi tre secoli) l’altra notizia importante è stata ieri l’approvazione- grazie allo strumento della fiducia, pro o contro il governo in carica-della cosiddetta riforma della scuola del ministro Giannini voluta da Renzi con forte determinazione e con altrettanto genericità di accenti.

Ora non si tratta di fermarsi su un particolare di scarsa importanza, se non c’è dubbio che l’istruzione di massa è il più potente strumento di autoriproduzione o di automodifica non violenta che possiede una società moderna. E questo avviene perché è a scuola che ciascuno di noi ha imparato i modi e i contenuti del suo ragionare che porterà con se per il resto della sua vita. Ma se tutto questo è vero, o almeno ragionevole, è il caso di aggiungere che non esiste la scuola “buona” o “bella”, esistono solo modelli specifici di istruzione buoni per riprodurre una determinata società o per modificarne un’altra in una determinata direzione. E non c’è dubbio, almeno dal Settecento, che ogni scuola è anche il frutto di scelte e direzioni politiche. Non esiste la scuola neutra. Nell’Italia repubblicana, pur con molte oscillazioni, i governi soprattutto dopo lo sviluppo economico e sociale degli anni Cinquanta e Sessanta, verso una scuola libera e tendenzialmente egualitaria. Una scuola laica e aperta a tutti, obbligatoria e gratuita fino al massimo livello di età che lo Stato ritiene di poter garantire a tutti quelli che, anche privi di mezzi economici propri, dimostrino impegno e capacità. Gli insegnanti sono stati selezionati attraverso concorsi e la loro professione-convinzione questa dei costituenti- può essere regolata soltanto dalla scienza e coscienza di chi le pratica. Ma non è stato Renzi il primo ad attaccare un modello vicino alla costituzione repubblicana ma lontano dalla gestione politica media degli italiani. Di qui ormai in molti decenni :diminuzione progressiva dei salari e perdita di prestigio di una professione da sempre mal pagata e di necessità lasciata in gran parte alle donne. E altro elemento di attacco al modello quello di attaccare la scuola pubblica, diminuzione dei fondi per l’edilizia e le attrezzature didattiche, introduzione di elementi confessionali nel sistema scolastico italiano di cui prima la Moratti e più di recente la Gelmini sono stati rappresentanti significativi.

E, in questo senso, compito della scuola italiana è diventato sempre di più preparare le truppe di un esercito di riserva destinato non si sa bene a quali compiti da eseguire. Per non parlare di insegnanti che -almeno i più disponibili e volenterosi – diventeranno i seguaci e collaboratori del preside-onnipotente creato dalla riforma Renzi-Giannini.
Non deve essere stato facile, dobbiamo dirlo, riuscire a conseguire in un solo provvedimento tanti risultati deboli o negativi. Ma, a quanto pare, il governo attuale c’è riuscito. A leggere giornali molto diffusi e seguire canali televisivi altrettanto popolari.


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