Per una volta, due belle storie: le comunità di Villa Maraini e S.Benedetto al Porto

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Ci sono storie che sono, possono essere, delle belle storie. Sono belle storie anche quando si occupano di questioni “dure”, dolorose, che “segnano”; vicende che chiedono a chi le vive pazienza, dedizione, passione, partecipazione; a volte anche durezza, mai indifferenza, sempre disponibilità.

E’ la storia di una comunità, di un centro antidroga, che dovrebbe, potrebbe essere portata ad esempio, e costituire un orgoglio, una legittima soddisfazione per quello che si fa, si cerca di fare, si riesce a fare, con – non è irrilevante – con i pochi mezzi a disposizione. E’ la comunità di Villa Maraini di Roma. Ispirata ai principi della Croce Rossa, è, a quanto è dato sapere, l’unico centro antidroga aperto h24, Natale, Pasqua, Ferragosto compresi; accoglie, e aiuta senza alcuna preselezione o preconcetto le persone con problemi di droga;  cinquant’anni fa, il complesso in cui sorge e opera il centro era in un desolante abbandono. Un po’ alla volta gli stessi operatori e gli “ospiti” l’hanno recuperato, oggi è letteralmente una zattera di salvezza per centinaia di persone ogni giorno.

E’ una struttura “laica”, nell’approccio: non ti chiedono da dove vieni, perché fai quello che fai; il primo obiettivo che si pongono, quando qualcuno si rivolge a loro, è innanzitutto di contenere il “danno”, di limitarlo. Non ti fanno prediche inutili, non usano metodi coercitivi; ti ascoltano, ti danno suggerimenti, come quello di usare, se proprio devi, una siringa monouso così ti risparmi, almeno, AIDS ed epatite; ti prescrivono una terapia, ma se accetti devi sottostare a un minimo di regola. Per dire: non è che ti presenti, “incassi” la tua dose di metadone e te ne vai, magari per andartelo a rivendere fuori e incrementare un “mercato grigio” fiorente. La “tua” dose di metadone te la danno e la bevi sul posto, davanti all’operatore, e restituisci anche il bicchierino di carta. Sembra un niente, ma chiedetelo a chi opera sul campo, se non è importante. E’ un “servizio”, quello assicurato da Villa Maraini, che ben conoscono carabinieri, polizia e a palazzo di Giustizia: capita spesso che ci siano persone con problemi di tossicodipendenza e che per questo incappano in reati cosiddetti “bagatellari”; vanno anche questi giudicati, e magari quando la persona deve essere interrogata, anche solo per sapere come si chiama e chi sono i suoi, e lui farfuglia e balbetta, ecco che interviene un’equipe di Villa Maraini per assicurare l’assistenza necessaria e opportuna. Opera anche a Rebibbia, e assicura a molti detenuti un percorso alternativo al carcere, fatto di piccoli lavori, che consentano alla persona, una volta scontata la pena, di riaffacciarsi alla vita senza dover più delinquere. Un investimento per lui, ma anche per la società che si trova a dover fare i conti con una persona che non delinque più…E siccome molti sono ragazzi, a Villa Maraini si preoccupano anche di assicurare corsi appositi per genitori che così imparano a fronteggiare situazioni che non sanno come fronteggiare; e naturalmente, quando il tempo è maturo, quando la persona ha finalmente deciso che “vuole” uscire dal tunnel in cui si è infilato, team di personale specializzato è pronto ad aiutarla in quello che è un percorso lungo e difficile. Appunto: un approccio “laico”, flessibile adattato alle esigenze dei singoli nel rispetto della dignità umana.

Tutto questo grazie all’impegno di una settantina di persone e di altrettanti volontari, tra medici, psicologi e operatori sociali. Il presidente della Comunità, Massimo Barra, ti può parlare per ore di quello che fanno, di come lo fanno, e degli ottimi risultati raggiunti…

A detta di tutti è un ottimo lavoro quello di Villa Maraini. Lo posso confermare, l’ho visto con i miei occhi, girando liberamente per la comunità, quando sono andato a realizzare per conto del “TG2” un servizio su questa struttura. E’ per questo che incontra sul suo percorso mille ostacoli fatti di burocrazie asfissianti e di ostilità mal celate da parte di chi dovrebbe invece essere in prima fila, e sostenere, aiutare, favorire? E passi quando le giunte di Roma e della regione Lazio erano (s)governate dalla destra: il loro approccio era quello della criminogena legge Fini-Giovanardi, che tanti guai ha provocato; ma ora che le “amministrazioni” (si fa per dire) Polverini-Alemanno sono uno spiacevole ricordo? Perché negli ultimi tempi Villa Maraini deve fare i conti con una carenza di fondi dovuta a ritardi, burocrazie, decurtamenti di stanziamenti da parte di istituzioni ed enti locali… Gli operatori si sono ridotti volontariamente lo stipendio del 50 per cento. Sembra impossibile che un servizio di questo tipo fatichi a trovare le risorse necessarie, anche perché i riconoscimenti da parte delle autorità non mancano. Eppure, per quanto sembri strano, per quanto suoni incredibile, questa è la realtà. E dire che vengono operatori da tutto il mondo per studiare il “metodo” Villa Maraini.

L’altra comunità su cui vorrei richiamare una briciola di attenzione è a Genova. E’ la comunità di San Benedetto al Porto, fondata da quel prete unico che è stato don Andrea Gallo. E’ morto il 22 maggio di due anni fa, e la sua Comunità continua a vivere e opera seguendo le sue orme, applicando i suoi insegnamenti. Da poco è uscito un bel libro “Il Gallo siamo noi”, scritto da Viviamo Correddu (Chiarelettere, 192 pagine, 13 euro). I diritti d’autore saranno interamente devoluti alla Comunità. La prefazione è di Vasco Rossi; il “Blasco” di don Andrea il prete di strada, era grande amico.

Ci sono le comunità terapeutiche, quelle che vieni perquisito quando entri, ti bloccano il telefono e la sera chiudono la porta a chiave (così non puoi scappare); e poi ci sono le comunità di accoglienza, come quella di San Benedetto al Porto, creata da don Gallo. Le prime producono ordine e disciplina, le altre coltivano la possibilità di cambia-menti interiori, non imposti ma fondati sulla libertà, la dignità e il senso di responsabilità di ognuno”, scrive Vasco Rossi, che ricorda come don Gallo sapeva accogliere l’umanità più incredibile e imprevedibile,

e “…ha costruito con loro una comunità bellissima, un modello di società in cui non devi sempre guardarti le spalle perché sai che sei tra amici…Tutti figli/e del Gallo, come sono abituati a chiamarlo i suoi ragazzi, oggi adulti responsabili che tengono vivo il suo esempio”.

Il racconto prosegue: “Una delle immagini che conservo del Gallo è di noi due insieme sulla grande terrazza della comunità, affacciata sul mare. Ragazzi che vanno e che vengono, lui sorridente con l’immancabile pezzetto di sigaro in bocca e io con la sensazione di essere a casa. Ci bastava guardare il mare, non c’era bisogno di aggiungere altro, eravamo sintonizzati sulla stessa frequenza. O Beatles o Rolling Stones, da una parte le comunità terapeutiche e dall’altra le comunità di accoglienza. Ognuno è libero di scegliere e di fare quello che vuole. Io sto con i Rolling Stones. VIVA don Gallo!”.

Conforta, ogni tanto, poter raccontare storie come queste, che non ci sono solo da raccontare storie di politici corrotti e bugiardi, di potenti prepotenti arroganti, di complici di mafiosi e farabutti che ingrassano e speculano sul dolore e la disperazione della gente; e ti conferma che per fortuna non si è tutti uguali, che c’è qualcuno che è migliore.


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