Come si finanziano i terroristi

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Uno degli effetti scontati della cosiddetta globalizzazione, che ha segnato il passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo è sicuramente una circolazione più facile e veloce delle merci (e delle persone  ma questo, come è noto, è un problema diverso) da un paese all’altro e, soprattutto, dall’uno all’altro continente. Ma questo fenomeno che economisti, scienziati sociali e in parte anche i politici hanno scoperto appena è stato chiaro, ha avuto degli effetti sicuramente positivi ma, nello stesso tempo, per quelle che una volta si chiamavano imprese sovversive e che oggi si chiamano, e da tempo, imprese terroristiche,  conseguenze che possiamo definire preoccupanti.

Quello che è accaduto nell’ultima strage che ha avuto, grazie anche all’influenza dei mass media sull’opinione pubblica mondiale, un enorme risalto: l’attacco da parte di un gruppo di fondamentalisti islamici e la morte dei giornalisti del settimanale satirico Charlie Hebdo. La ricostruzione del loro finanziamento  è molto significativo . I responsabili della strage, a quanto pare, sono riusciti ad acquistare le armi attraverso donazioni in denaro, lo stesso denaro che è servito poi per compiere l’atto terroristico. Il mitragliatore Scorpio, usato da Amedy Coulibary proveniva da Bruxelles e lui avrebbe acquistato anche i kalashnikov usati  dai fratelli Kouaki alla stazione di Bruxelles Midi per meno di cinquemila euro. Inoltre Al Qaeda avrebbe consegnato ventimila dollari a Cherif Kouachi  per portare a termine l’operazione terroristica. Mentre si discute su alcune lacune evidenti nella ricostruzione della strage di Parigi, si cerca di capire come funziona il sistema di finanziamento che ha reso possibile l’impresa dei fratelli terroristi con i loro complici aggiunti. Si parla di un sistema informale e legale con quattro figure diverse: l’ordinante, il beneficiario e due operatori che prendono una commissione per ogni transazione portata a termine.

L’architetturadel finanziamento occulto prevede quindi l’intervento di un operatore nella località di partenza e in quella di destinazione.  L’operatore incassa nella moneta locale del paese di appartenenza ed il suo corrispondente paga nella divisa del luogo ricevente.  Si collegano così gli interessi del gruppo terroristico fondamentalista protagonista dell’impresa e della criminalità organizzata.   Un uomo che in passato ha lavorato per le cellule dell’ISIS ha accettato di parlare nei giorni scorsi con uomini della Digos e del ROS Carabinieri che lavorano per la procura della repubblica di Napoli e ha riferito che è proprio quella città è diventato un centro commerciale privilegiato per la produzione e la distribuzione di documenti falsi preziosi per i terroristi. “Innanzi tutto-ha detto questa persona di cui non è noto il vero nome e viene designato con quello di fantasia di Amir-i documenti con cui vengono costruiti i falsi sono originali perché provengono direttamente dai comuni e da altri enti dove corrompiamo dipendenti, vigili o poliziotti. Le carte di identità, per esempio, sono compilate con falsi nomi e dati ma per il resto sono “originali”.

Potresti mai dire il contrario ?” afferma. Racconta che l’ultima volta che ha ritirato dei documenti si trattava di duecento carte di identità che poi ha diviso in tanti pacchetti di venti e li ha distribuiti in varie fami glie pagate per custodirli. Un  metodo simile rende difficili per le forze dell’ordine trovarle e sequestrarle ed è stato trovato un modo anche per riprodurre quelle con i microchip facendo arrivare le card dai comuni  e realizzando a parte i microchip.  Ormai non sono più italiani ma marocchini, algerini e ghanesi quelli che realizzano i documenti falsi e sono in contatto con le organizzazioni terroristiche finanziano anche ogni mese i gruppi di falsari. Così il gioco è fatto e diventa molto difficili per forze dell’ordine e inquirenti bloccare l’organizzazione che prepara attentati. Lo si è già visto nei giorni scorsi in Belgio e c’è da sperare che non si stia preparando qualcosa anche nel nostro Paese.   


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