Caso Maynard. Quando non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza

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di Valter Vecellio

Senza necessariamente essere credenti, il Vangelo è lettura a cui dedicare qualche attenzione; il discorso della Montagna, per esempio. O anche il più breve passaggio riportato nel Vangelo di Matteo: “Non giudicate, per non essere giudicati, perché con il giudizio col il quale giudicate sarete giudicati voi, e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi”.

Poi, in virtù di quegli imperscrutabili giochi della memoria, una notizia apparsa sul “Corriere della Sera” dell’aprile 2012, si annuncia che il cardinale Gianfranco Ravasi celebra, presso la chiesa parrocchiale di Pasturo, vicino Lecco, una messa in favore della poetessa Antonia Pozzi. Cosa c’è di strano, da fare “notizia”, in una messa di suffragio sia pure celebrata da un eminenza come il cardinal Ravasi? Il fatto che la poetessa, ma più propriamente si dovrebbe dire la sventurata donna, è morta suicida il 3 dicembre del 1938, quando aveva appena 26 anni. “Celebro questa messa”, spiega Ravasi, “Perché l’atteggiamento che la Chiesa ha attualmente nei confronti dei suicidi presta molta attenzione alle dimensioni interiori della tragedia. Se l’evento drammatico nasce da una superficialità o è causato dal disprezzo dei valori della vita, allora evidentemente non può essere oggetto di una celebrazione esplicita. Ma la Pozzi rappresenta il caso di una persona dotata di forte spiritualità e di intensa ricerca interiore, travolta da una sensibilità estrema”. Misericordia, se si può sintetizzare la riflessione del cardinal Ravasi.

Si può ben dire che la vita non sia stata generosa con Antonia Pozzi, figlia di un avvocato milanese e della contessa Lina Lavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi; si uccide con barbiturici. La famiglia nega la circostanza “scandalosa” del suicidio, attribuendo la morte a polmonite; il padre distrugge il testamento di Antonia, e interviene anche sulle poesie. E a proposito di versi: “Tutta l’acqua mi fu bevuta, o Dio,/ ed ora dentro il cuore/ ho una caverna vuota…”.  Dice Ravasi: “Celebro la messa anche per essere vicino a tutte quelle persone sensibili che sentono dentro di sé un vuoto e una domanda…”.

Misericordia: dovrebbe essere un valore universale, valido per credenti, non credenti, diversamente credenti. E vien da domandarsi: BritannyMaynard, la giovane donna, affetta da tumore al cervello che non le lasciava scampo, e che a un’agonia dolorosa e avvilente, pur amando la vita, ha scelto di morire, forse che Britannynon era persona “dotata di forte spiritualità e di intensa ricerca interiore”?

Prima di andarsene, Britanny ha voluto salutare le persone che ha amato e l’hanno amata: “Addio a tutti i miei cari amici e alla mia famiglia, che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità, davanti alla mia malattia terminale, questo terribile cancro che ha portato via così tanto da me, ma che avrebbe preso ancora di più. Il mondo è un bel posto, il viaggio è stato il mio maestro più grande, i miei amici più stretti e miei parenti sono le persone più generose e altruiste”.

Quella di Brittany è stata la scelta di chi ritiene di non aver alternativa a quella che ha lungamente pensato e infine maturato: “Ho anche un cerchio di supporto intorno al mio letto. Addio mondo. Spargete buona energia. Siate generosi, pagate in anticipo per restituire ad altri il bene che ricevete”.
Sono le parole di una donna innamorata della vita, con una grande forza d’animo, che sa di essere condannata, e preferisce sottrarsi a una inutile agonia.

Una storia, una vicenda che non va giudicata, che dovrebbe farci riflettere tutti, ma astenendoci da commenti o condanne; dovremmo piuttosto cercare di comprendere, animati da un letterale sentimento di compassione. Britanny ha preso la sua decisione  con piena consapevolezza, serenamente, senza costrizione alcuna; era assistita al meglio, non aveva problemi economici, aveva attorno a se persone che l’amavano, ma l’hanno anche rispettata e capita… Non era come tante volte accade, una persona anziana, timorosa del domani, priva di assistenza e cure, limitata nei mezzi economici, sola. Bisognerebbe fare una accurata indagine sul fenomeno dei suicidi in Italia. C’è, ci può essere, per esempio, una relazione nel fatto che Trieste sia tra le città più “anziane” d’Italia, e insieme con la più alta percentuale di suicidi? Se lo Stato assicurasse una vera rete di assistenza, di “protezione”, sollevandoli da preoccupazioni “materiali”, quanti di questi suicidi potrebbero essere evitati? Quanti si tolgono la vita perché viene meno speranza, serenità per il solo fatto di trovarsi in insopportabile  solitudine? Sarebbe utile saperlo. Perché poi può accadere che “semplicemente” non si voglia più vivere; pensate a Lucio Magri: a un certo punto un “vuoto” si è impadronito di lui, e nessuno e nulla ha potuto colmarlo. Magri ha scelto di andarsene, perché quel “vuoto” gli risultava insopportabile. Ma si potrebbero citare tanti casi, illustri e meno illustri che dimostrano come può accadere che si raggiunga un momento e un punto di non ritorno; e che non serva a nulla rimuovere le cause “materiali” che possono indurre una persona a farla finita. Ma tanti altri casi potrebbero essere evitati se solo si prestasse maggiore attenzione e cura al nostro “prossimo”.

Per questo è giusto agire sul piano dell’assistenza, concreta e psicologica, in modo che nessuno si senta isolato, abbandonato, lasciato solo; questo significa assicurare la dignità alla vita, diritto universale; ma è altrettanto giusto trovare il modo, sulla falsariga di altre legislazioni, assicurare a ciascuno di noi il diritto a una morte dignitosa. E bisognerebbe discuterne, conoscere le dimensioni del fenomeno. Altrimenti rimangono le pubblicitarie secchiate di acqua estive, seguite dal poco coerente taglio ai progetti di assistenza, il mancato aggiornamento dei Lea…queste sì, vere e proprie docce gelate sui malati e le loro famiglie.

Al presidente della Pontifica Accademia per la Vita monsignor Carrasco de Paula, che non giudica Britanny e non condanna “questa povera donna che ha già sofferto abbastanza”,ma ritiene che la dignità sia altra cosa che mettere fine alla propria vita, e che “l’unico che sa come stanno veramente le cose èDio”, si può obiettare che anche Britanny lo sapeva, e sapendo ha scelto.Monsignor de Paula invita a riflettere sul fatto che “se un giorno si portasse a termine il progetto per cui tutti i malati si tolgono la vita, questi sarebbero abbandonati completamente: il pericolo è incombente perché la società non vuole pagare i costi della malattia e questa rischia di divenire la soluzione…Questa donna lo ha fatto pensando di morire dignitosamente, ma è qui l’errore: suicidarsi non è una cosa buona, è una cosa cattiva perché è dire no alla propria vita e a tutto ciò che significa rispetto alla nostra missione nel mondo e verso le persone che si hanno vicino”. Monsignor Carrasco non condanna, ma stabilisce cosa sia buono e cosa non lo sia; e aggiunge: “Non credo che questa ragazza lo abbia fatto per codardia, per una riflessione intellettuale o per un sillogismo. La gente che ha avuto intorno non l’ha aiutata, è stata gestita da un gruppo pro eutanasia”. Insomma, Britanny plagiata, parenti e amici (“la gente che ha avutointorno”), complici di un gruppo pro-eutanasia che ha gestito l’intera vicenda.  Decisamente monsignor de Paula dovrebbe rileggersi e meditare quel brano del Vangelo di Matteo citato in apertura di questo articolo; e ricordarsi di Giovanni Paolo II che invoca di poter essere libero di tornare alla casa del Padre, e viene giustamente accontentato.

Al di là della presa di posizione di monsignor De Paula, ancora una volta colpisce il silenzio del governo e, a parte rarissime eccezioni (i radicali, Luigi Manconi), di tutta la classe politica. Completamente disatteso l’appello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano perché il tema venisse affrontato e dibattuto, lasciati a far polvere in qualche cassetto del Parlamento i progetti di legge presentati in materia. Tema eluso con la tecnica delle tre scimmie: non si vede, non si ascolta, non si parla.

LeonardoSciascia scrive nella sua “Una storia semplice”, immagino pensando alla sua condizione di malato:“…ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, mail morire è l’ultimasperanza”.Viviamo in un paese dove il diritto a morire con dignità e senzadover soffrire inutilmente, quel diritto che non si stancava di rivendicare Indro Montanelli, non viene riconosciuto, in nome di una moralità ipocrita.Negli ospedali e nelle cliniche si fa, grazie a mani pietose di medici e infermieri, come certificano decine di sondaggi e ricerche, ma non bisogna dirlo.Si può andare, per chi ha i mezzi, in Svizzera, oppure si deve fare ricorso a gesti disperati come quello di Mario Monicelli e Carlo Lizzani, che decidono disfracellarsi.

Sarebbe opportuna e utile un’inchiesta che ci consenta di conoscere le dimensioni del fenomeno: se e come medici e infermieri praticano l’eutanasia negli ospedali e nelle cliniche;quanti suicidi sono di persone affette da malattie incurabili e che fanno soffrire in modo insopportabile… E invece nulla. Non si deve sapere, non se ne deve parlare.Eppure tutti i sondaggi demoscopici dicono che la maggioranza degliitaliani è favorevole a che chi lo vuole possa decidere di fare una fine come quella scelta di Magri, piuttostoche prolungare un’esistenza fatta di dolore e sofferenza senza scopo e rimedio. Chi vuole vivere la sua vita fino all’ultimo minuto secondo (e chi scrive è tra questi), è giusto che lo possa fare e lo faccia; ma altrettanto giusto è che si possa fare come ha scelto di fare BritannyMaynard; senza essere giudicati né condannati.

* Jobsnews


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