La mafia e gli italiani

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Giovanni Falcone-poco prima di essere ucciso a Capaci dal tritolo dei corleonesi di Totò Riina- aveva espresso un pensiero ragionevole (e, visto con gli occhi di oggi), perfino un poco  ottimistico, sul destino della mafia, o meglio del rapporto tra mafia e politica, nel nostro paese.  In quell’intervista, pubblicata allora nel 1992 dalle edizioni Rizzoli, il giudice palermitano aveva detto che essendo l’attività dei mafiosi un’attività di un certo numero degli esseri umani, come tutte le attività proprie degli uomini, sono destinate ad avere un ‘inizio e una fine, ad avere-per così dire-il tempo della nostra, come di ogni  vita.

Ma, a distanza di ventidue anni da quelle pagine, sono intervenuti fatti nuovi di cui tiene conto, ad esempio,  la ricerca sulla percezione del fenomeno mafioso di cui tiene conto la ricerca, condotta a Palermo dal Centro Studi Pio La Torre che ha coinvolto 1126 studenti di 94 scuole distribuite su tutto il territorio italiano e gli allievi di alcune scuole tedesche.  L’indagine, che è giunta all’ottava edizione, ha fornito risultati molto significativi  sulla crescita progressiva della corruttibilità  della classe politica determina una vicinanza sempre maggiore tra le attività criminali e l’attività politica e parlamentare e fa sì che la sua sconfitta si stagli su un sfondo sempre più lontano.  Secondo il 61,56% dei ragazzi,  un campione non completamente rappresentativo ma sicuramente indicativo, è proprio la grande corruzione, che caratterizza oggi la classe politica che permette alla mafia di continuare ad esistere, a uccidere ed inquinare la vita politica, sociale ed economica  di intere comunità. Secondo quei ragazzi che dovremmo ascoltare, più di quanto facciamo di solito, è la corruzione  della classe politica locale che ha raggiunto il 66,07 % per cento è la ragione che spiega la diffusione del fenomeno mafioso anche  nelle regioni del Centro-Nord. Ciò incide per l’81,89 % sull’economia di quelle regioni, un dato che appare in costante aumento negli ultimi anni. Un simile dato si riflette-ed è inevitabile- sul grado molto scarso di fiducia che le nuove generazioni ripongono nel mondo della politica.

Lo Stato è percepito come più forte della(o delle) mafia soltanto dal 73% dei ragazzi mentre, a sua volta, il 53,32 % ha indicato la mafia come l’organizzazione che dispone dell’egemonia nella società contemporanea. Gli altri non sanno che cosa rispondere. Tra i ragazzi solo il 23,55 % ha dichiarato potrà essere, alla fine, sconfitta ma il 47,19% non credo che questo possa avvenire. Secondo Vito Monaco, presidente del centro Pio La Torre, per la quasi totalità dei ragazzi intervistati, il 94, 52%, la responsabilità della sopravvivenza e indubbia  prosperità  della mafia da attribuire insieme alle responsabilità  della classe politica e all’esistenza di una ampia “zona grigia” tra la legalità e il crimine. “C’è la capacità di influenzare la vita politica e istituzionale ad ogni livello. I rapporti riguardano tra i mafiosi, la classe politica, un ceto burocratico colluso e connivente per via indirette e sotterranee ma anche con un mondo dell’imprenditoria e delle professione dove l’attenzione quasi esclusiva per la logica del profitto ad ogni costo che autorizza anche “relazioni pericolose” con soggetti criminali  che appaiono generosi ad erogare capitali di provenienza illecita da riciclare, protezione, informazioni, intermediazione  con centri di potere e di autorità. Si spiegano così le grandi difficoltà nel nostro Paese di una riforma della giustizia che abbia al centro il falso in bilancio, il conflitto di interessi e il riciclaggio(o auto-riciclaggio) del denaro sporco.

E’ altrettanto significativo che nella critica non sono coinvolti soltanto  i politici ma tutta la classe dirigente del nostro amato(ma un poco sciagurato Paese). Per l’82 % dei ragazzi intervistati la mafia incide abbastanza o molto sull’economia del territorio e la ricerca del lavoro è un vero e proprio calvario . Così l’80% invoca l’adozione di effettivi criteri meritocratici che non sono quasi mai stati applicati davvero nella nostra lunghissima storia. A sua volta Vincenzo Militello, professore di Diritto Penale nell’Università di Palermo, sottolinea la centralità della scuola come ambiente in cui si parla e ci si informa sul fenomeno mafioso. Anche i ragazzi tedeschi(432),del Bad-Wuttemberg, che hanno risposto alle domande hanno individuato(11 su 30) nella “ricerca di facili guadagni (è la risposta maggioritaria tra quelle riportate) la motivazione principale di entrare nella criminalità. E nel complesso le risposte dei ragazzi tedeschi alle domande non differiscono molto da quelle dei ragazzi italiani e questo dimostra, senza dubbio alcuno, due cose importanti: 1) che il fenomeno mafioso è-come peraltro ci dicono le statistiche esistenti- è diventato un fenomeno planetario; 2) che le nuove generazioni avvertono con chiarezza quali dimensioni hanno oggi i nemici della legalità e di una vita adeguata alle esigenze di chi pensa e lavora.     


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