“Salvare il prestigio della Costituzione”. Appello dei Comitati Dossetti

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I Comitati Dossetti per la Costituzione lanciano un grido di vivissimo allarme per le modalità non prive di forzature autoritarie attraverso cui sta procedendo e viene presentata all’opinione pubblica la revisione della Costituzione. Non basta che non ci siano intenzioni autoritarie nei riformatori, né nella nuova Costituzione stessa, se sono autoritarie le forme in cui essa viene progettata e “portata a casa”, come si dice con orribile senso di appropriazione, dagli esponenti del governo. La Costituzione repubblicana gode di un altissimo prestigio presso i cittadini, non solo per i suoi contenuti, ma anche per il modo in cui essa è stata pensata, discussa e consegnata al Paese. Il rischio è che oggi una riforma, anche eventualmente ben fatta, per le modalità e i linguaggi che la configurano, possa far perdere alla Costituzione il suo prestigio, e farla cadere dal cuore degli italiani. Rischio tanto maggiore in quanto l’obiezione sollevata dalla Corte Costituzionale sulla illegittimità del modo in cui gli attuali parlamentari sono stati eletti, potrebbe tradursi in una percezione popolare dell’illegittimità dell’intera Costituzione, quale da loro modificata e riscritta.   Occorre anche tener conto del fatto che si sta rifacendo la Costituzione in un momento di crisi del Paese e di altissimo lutto nella situazione internazionale per l’ecatombe di Gaza e l’abbattimento dell’aereo passeggeri in Ucraina, ciò che richiama a quanto è in gioco nel rapporto tra istituzioni e vita reale e dovrebbe indurre a maneggiare la materia con estrema delicatezza, gravità e misura.

I Comitati Dossetti per la Costituzione sono altrettanto allarmati per possibili esiti incontrollati e imprevisti della revisione in corso, quali sono fatti balenare dai suoi promotori col riferimento a una ulteriore fase di passaggio al presidenzialismo.

Essi pertanto rivolgono un pressante appello al Partito Democratico perché tenga alta la guardia e nell’operazione politica in atto ripristini e salvaguardi la normalità democratica.  Giuseppe Dossetti aveva impegnato i Comitati da lui fondati a promuovere la Costituzione senza alcuna preferenza di partito; i Comitati ritengono oggi però di doversi rivolgere principalmente al Partito Democratico perché temono che la democrazia costituzionale potrebbe essere travolta nel nostro Paese se le venisse meno la garanzia, la difesa e il rispetto che finora le sono venuti dalle forze che fanno riferimento al PD e alla sua tradizione. Certamente non si può negare al governo espresso dal PD il diritto all’iniziativa legislativa anche in materia costituzionale, ma nel sistema democratico italiano è escluso che il governo possa fungere da padrone della Costituzione, delle due Camere, dei tempi e dei modi delle relative riforme, fino a fare del “delendo Senato” un trofeo al quale consacrare lavori forzati diurni e notturni feriali e festivi.

Nel merito, la scelta del monocameralismo è una scelta legittima, se in esso vengono assorbiti e potenziati i beni pubblici che la cultura politica e i costituenti vedevano meglio promossi dal sistema delle due Camere, come pure è configurabile un bicameralismo imperfetto, in cui un Senato non più vincolato al compito di conferire la fiducia al governo, possa accrescere le sue competenze di alta legislazione, e avere compiti di raccordo  tra i poteri e di garanzia delle libertà e dei diritti, in una maggiore indipendenza dall’esecutivo e mantenendo la propria legittimazione popolare. Quello che non è possibile è un compromesso al ribasso rispetto al vecchio Senato, che ne faccia una vetrina di notabili locali nominati dall’apparato, impediti dalla dislocazione romana a fare il lavoro per cui sono pagati e membri di un consesso non corrispondente a nessuno dei modelli di Senato finora conosciuti e sperimentati.

I Comitati Dossetti prendono atto della stretta connessione stabilita tra la riforma della Costituzione e quella della legge elettorale, che già non contempla l’elezione del Senato, il che costringe a un giudizio unitario sul sistema che ne risulterebbe. Questo giudizio – già espresso peraltro quando l’“Italicum” fu approvato alla Camera – è che tale sistema sacrifica il pluralismo, al potere. In questo senso va a ritroso rispetto a tutto il corso storico delle conquiste democratiche. La legge elettorale, che lo stesso autore del primo “Porcellum” considera un “Porcellum” aggravato (o “porcellissimo”), va quindi assolutamente modificata, e considerarla intoccabile è sicuramente lesivo della democrazia. Attribuire ai partiti il potere di nominare gli eletti, invece che proporne le candidature al popolo, significa fare dei partiti degli organi dello Stato e  pertanto saltare ogni mediazione di carattere rappresentativo tra società e istituzioni. È assolutamente necessario poi abolire gli sbarramenti all’ingresso di vecchie e nuove forze politiche in Parlamento, perché la politica non deve consumarsi per cooptazione fino all’esaurimento dell’esistente, ma deve trovare alimento e speranza nel non ancora esperito e nel nuovo. La soglia d’ingresso, per coalizzati e non coalizzati, deve essere al minimo fisiologico necessario al funzionamento del sistema elettorale e il premio di maggioranza può, anch’esso in limiti fisiologici, favorire la governabilità, ma non può cambiare le carte in tavola, trasformando minoranze in maggioranze assolutamente non suffragate dal voto popolare.

Molto più urgente del resto, a giudizio dei Comitati Dossetti per la Costituzione, proprio ai fini della “governabilità”, ma anche della salute politica del Paese, sarebbe rivitalizzare, rendere trasparenti, democratizzare i partiti, perché senza partiti non c’è né ricostruzione della politica, fin troppo demolita fin qui, né efficacia di governo né democrazia partecipata. Sarebbe opportuna pertanto un’inversione delle priorità delle riforme, e mettere al primo posto una legge di attuazione dell’art. 49 della Costituzione nonché dell’art. 39 riguardante i sindacati.

La riforma dei partiti dovrebbe farne organi della società e non dello Stato, deputati alla formulazione dei programmi politici, alla elaborazione di cultura politica, alla proposta delle candidature, alla presenza nel territorio e al rapporto coi cittadini, ma non anche alla diretta gestione della cosa pubblica. Dovrebbe esserci alternativa pertanto tra cariche di partito e funzioni di carattere pubblico, anche elettive; uno statuto dei partiti che ne garantisca la democrazia interna, la trasparenza, il divieto di vincoli di mandato dovrebbe essere la condizione per la partecipazione alle elezioni e all’accesso a un finanziamento pubblico, che dovrebbe essere mantenuto con la contestuale proibizione di finanziamenti privati superiori a una certa soglia, oltre la quale non si potrebbe parlare di un sostegno politico a un partito ma di un acquisto delle sue scelte, con evidente rischio di conflitti d’interessi e di corruzione.

Noi riteniamo che se partiti e sindacati, forti di un ordinamento interno a base democratica, torneranno ad essere i grandi soggetti attivi della vita politica del Paese, la democrazia e la capacità di governo della Repubblica saranno rilanciate e garantite ben più che da concitate e contestate riforme.

Raniero La Valle e Luigi Ferrajoli
Presidenti dei Comitati Dossetti per la Costituzione


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